La casa dentro di sé
Confine tra un dentro e un fuori, guscio che ci protegge o elemento aspirazionale: è dalla casa che inizia il nostro benessere.
Parliamo di casa e pensiamo allo spazio fisico che la determina, che dà protezione e riparo dal mondo che si trova all’esterno, il nido sicuro nel quale far crescere i figli, la nostra zona di confort, ma anche la nostra prigione.
La valenza che racchiude la casa è, però, molto più complessa e articolata, fatta di rappresentazioni diverse per ogni singolo individuo. Ogni lingua ha i propri specifici termini per tradurre la parola casa, con significati ben precisi e, a volte, intraducibili se non per perifrasi.
Nella lingua inglese, ad esempio, esistono due termini per indicare la casa: House, che si riferisce allo spazio fisico dell’abitare e Home al luogo affettivo, familiare, di vissuto, con i vari significati attribuiti da coloro che ci vivono.
In tedesco, Heimat racconta di una casa intesa più come Patria. Infine, in italiano, i significati richiamano sia il concetto di abitazione nella sua “fisicità”, sia quello di famiglia, calore, accoglienza e sicurezza.
La famiglia, oramai, non va più intesa solo in senso tradizionale, abbiamo le famiglie allargate e quelle composte anche da un solo individuo, perchè casa e famiglia sono non solo dei luoghi, ma anche delle modalità di vivere, delle sensazioni, un’appartenenza.
Entriamo nella nostra casa e ci sentiamo al sicuro, a nostro agio, liberi di essere veramente quello che siamo. E’ il luogo dove poter toglierci la maschera che invece indossiamo in altri ambienti. E questo vale anche per chi, tornando a casa, si trova in presenza solo di se stesso.
La casa rappresenta un confine che definisce un dentro da un fuori, come se fosse una pelle attraverso la quale definiamo noi stessi, impariamo a vivere da soli oppure a condividere il nostro spazio vitale con altri.
Proprio l’anno appena trascorso ha dimostrato quanto il nostro rapporto con la casa abbia subito delle trasformazioni importanti.
In seguito alle condizioni tragicamente cambiate a causa delle restrizioni determinate dal Covid 19, non per tutti la casa è stata un luogo sicuro, alcuni hanno fatto esperienza della stessa come prigione, gabbia a volte anche dorata, ma anche luogo di disagio.
Chi si è scoperto “allergico” alla convivenza, non abituato a condividere tempi e spazi con la propria famiglia e ora si trova in difficoltà, ma anche chi si è rifugiato in casa come in un luogo sicuro, la caverna dalla quale poi diventa difficile uscire (sindrome della capanna) e chi, infine, ha saputo sfruttare al meglio le condizioni esterne per ritrovare equilibri perduti.
Purtroppo tale Sindrome rischia di non risolversi solo con una diminuzione dei divieti e il ritorno ad una “nuova normalità”, ma può trasformarsi in disagio e difficoltà che si protraggono nel tempo e la Long Covid Syndrome ne è un esempio.
Siamo tutti stati costretti a fare i conti non solo con quel confine che ci definisce e differenzia dall’esterno, ma anche con i confini, scoperti, tra interno e interno. Tanti hanno trasformato il proprio spazio intimo e personale in luogo “aperto” dove si sono spalancate le porte ai colleghi di lavoro (smart working) e ai compagni di classe (DaD) che mai, in altri tempi, si sarebbero fatti entrare, luogo che si è sempre custodito gelosamente e protetto da visite indesiderate.Quello spazio privato che tanto definisce la nostra identità e che viene, a sua volta, influenzato da essa, è stato, forse per la prima volta, violato e invaso da un esterno, che probabilmente non avremmo mai invitato a cena.
Un concetto che non possiamo sottovalutare è quello di Identità di Luogo (Place Identity, Proshansky, 1983), ovvero di come l’ambiente genera comportamenti e vissuti diversi, ciò che determina se un luogo è vissuto in maniera piacevole o fonte di disagio e il conseguente comportamento messo in atto. Per ambiente intendiamo lo spazio nel quale ci troviamo a vivere e che ha un’influenza profonda sul nostro modo di essere, sulle nostre modalità e abitudini, sul nostro stile di vita.
Non si può trascurare l’influenza esercitata sull’individuo dalla condizione di crescere e vivere in città o in periferia, in alcuni quartieri piuttosto che in altri, al nord o nel sud del mondo.
Vivere male il proprio spazio privato porta con sé un malessere anche a livello psichico difficilmente identificabile, ma non per questo meno significativo, sicuramente subdolo e che può compromettere il buon equilibrio psicofisico di chi vi abita. Un abito stretto non fa star bene nessuno. Vivere nei panni non propri crea disagi, problemi di identità, malesseri anche psicosomatici non trascurabili. Entrare e, soprattutto, vivere in una casa che non ci rappresenta e con la quale non siamo in armonia indica una scarsa conoscenza delle proprie esigenze e una cattiva espressione della propria individualità.
L’architetto – psicologo Olivier Marc così dice: “Ciascuno ha bisogno del suo posto quale casa per l’anima e non scatola per il corpo”.
Trascuriamo ancora molto l’influenza che il nostro ambiente esercita sul nostro benessere.
Gli Architetti più attenti, sanno riconoscere l’importanza della reciproca influenza ambiente-psiche e dedicano tempo anche a conoscere l’animo dei propri committenti. Scavano nei desideri delle persone per consegnare un prodotto cucito su misura delle esigenze, anche nascoste al committente stesso.
Le scelte dei colori, dell’arredamento, delle disposizioni delle varie stanze parlano di noi e della nostra personalità. Altrimenti, avremo una casa perfetta ma vuota, senza anima.
Dovremmo chiederci se per noi sia più importante possedere una casa o vivere la casa.
Carl Gustav Jung (1909), grande psicologo che del simbolismo ha fatto la pietra miliare del suo lavoro, interpreta il sogno di una casa come se essa identificasse simbolicamente, appunto, l’Io e i suoi vari livelli di coscienza: “Mi era chiaro che la casa rappresentava una specie di immagine della psiche, cioè della condizione in cui era allora la mia coscienza, con in più le relazioni inconsce fino allora acquisite. La coscienza era rappresentata dal salotto…col pianterreno cominciava l’inconscio vero e proprio. Quanto più scendevo in basso, tanto più diventava estraneo e oscuro”.
Sempre seguendo il percorso simbolico, Gaston Bachelard (filosofo francese) con il concetto di “verticalità” così delinea gli stati della psiche: “piedi sulla terra e testa nel cielo: il tetto e il piano superiore indicano il pensiero e la funzione cosciente, la cantina rappresenta l’inconscio e l’istinto, la cucina parla di trasformazione psichica, la scala è il mezzo di unione fra i piani psichici”.
Non solo la psicologia e la filosofia rimandano agli aspetti simbolici e alle metafore legate alla casa, ma anche la letteratura e il cinema: uno per tutti “Shining” con le immagini dei suoi lunghi, ansiogeni corridoi.Il nostro legame con la casa, come la viviamo, le relazioni che al suo interno si sviluppano, hanno dei forti richiami e influssi sulla nostra identità, sui pensieri, sui comportamenti e sui sentimenti.
Non dobbiamo rimanere indifferenti a tutto ciò che le condizioni di emergenza sanitaria hanno determinato in quest’ultimo anno, sulla nostra modalità di abitare la casa e sulle influenze che ciò ha comportato per il nostro modo di essere, di vivere, di esprimerci e di viverci, sulle nostre sicurezze o sulle insicurezze emerse ancora di più.
Non possiamo esimerci dal chiederci: come viviamo la nostra casa ora? Chi siamo disposti a far entrare? Cosa mostrare di noi agli altri e a noi stessi?
s f o g l i a l a g a l l e r i a
testo Maria Elena Oldani
progetti
Giovanna Azzarello architetto,
Bartoli Design,
Fabio Carria architetto,
archipbg
immagini Adriano Pecchio