L’ISTANTE NON ESISTE
a cura di Annamaria Cassani
Fino al 30 giugno Lecco ospita una mostra collettiva dedicata alla fotografia istantanea. All’inaugurazione, Francesca Della Toffola ci ha parlato del suo ultimo lavoro.
Muovendosi in direzione nord-est dal centro di Milano, dopo aver attraversato un tratto di Brianza, il paesaggio, quasi improvvisamente, si trasforma e le Prealpi Orobiche appaiono come fondale a “quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno”, immortalato nelle pagine manzoniane de “I Promessi Sposi.”
È in questo scenario “da cartolina” che l’11 maggio scorso l’Associazione Culturale Lumis Arte – in collaborazione con il Circolo Fratelli Figini e il patrocinio del Comune e della Provincia di Lecco – ha inaugurato nel rione lecchese di Maggianico la mostra collettiva dal titolo “L’istante non esiste”.
L’ esposizione presenta una selezione delle ricerche condotte da Raffaele Bonuomo, Rosandro Cattaneo, Giulio Cerocchi, Luigi Corbetta, Matteo Donzelli, Francesca Della Toffola e Daniele Re sull’uso espressivo della fotografia istantanea (Polaroid e Fuji).
Elemento comune delle opere esposte è la fusione tra ricerca visiva e intervento manuale: le fotografie scattate con la fotocamera istantanea non rappresentano più il risultato finale, da guardare ed archiviare, di un processo ma diventano oggetti intermedi da manipolare successivamente attraverso diverse tecniche.
Durante l’inaugurazione abbiamo colto l’occasione per incontrare di nuovo Francesca Della Toffola e parlare con lei del suo ultimo lavoro, “Nel buio ho trovato l’azzurro e l’oro” (2021-23).
Si tratta di una serie di autoscatti realizzati con fotocamera istantanea su cui l’artista trevisana è intervenuta successivamente con tagli e riassemblaggi attraverso la tecnica del collage, dando vita a rappresentazioni dai significati simbolici nuovi e, spesso, inaspettati.
Annamaria Cassani
Il titolo della mostra collettiva, “L’ISTANTE NON ESISTE”, contiene un apparente paradosso se si pensa che sono esposte opere realizzate con fotocamera “istantanea”. Come lo spieghi?
Francesca Della Toffola
Il titolo sembrerebbe apparentemente una provocazione ma, riflettendoci bene, anche la fotografia istantanea, così come quella analogica e digitale, non si esaurisce in un breve attimo ma in un processo composto da una serie di istanti che si susseguono: l’istante in cui vedo il luogo in cui mi voglio ritrarre, l’istante in cui scatto, la lunga serie di istanti (circa 15 minuti) in cui attendo di vedere l’immagine emergere dall’emulsione e completarsi e l’istante in cui provo l’emozione nel vedere il risultato del mio lavoro.
E ancora, nella mia ricerca, il processo prosegue: nei giorni successivi analizzo le stampe, immagino di tagliarle (ma… dove?) e magari non ho il coraggio (e attendo). Anche dopo il taglio continuo a spostare i pezzi, sovrapporli e riordinarli finché non ottengo un risultato che mi appaghi.
A.C.
“Nel buio ho trovato l’azzurro e l’oro” nasce da una voluta contraddizione o, se vogliamo, da un utilizzo anticonvenzionale del mezzo – la fotografia istantanea – strumento per eccellenza per avere immagini senza passare attraverso il lungo processo di sviluppo, stampa e post produzione. Approfondiamo?
F.D.T.
In questa fase del mio percorso di ricerca non sono interessata ad una elaborazione digitale delle immagini. Nell’ultimo ultimo lavoro sono intervenuta sulle stampe fotografiche attraverso uno strumento fisico, le forbici, con le quali ho affrontato la fisicità della foto istantanea: una vera e propria sfida se si pensa che per tagliare una foto che rappresenta un unicum irripetibile occorre molto coraggio.
A.C.
Occorre coraggio e, mi viene anche da pensare, un certo desiderio di quella libertà che può dare un gesto irreversibile (il taglio fisico) rispetto alla “gabbia” della post produzione digitale che offre numerose possibilità di rimediare all’errore.
F.D.T.
“Nel buio ho trovato l’azzurro e l’oro” rappresenta certamente per me un esercizio di libertà personale.
I miei primi tagli sulle Polaroid contengono errori cui non ho volutamente tentato di porre rimedio:
ad un certo punto ho capito che l’accettazione degli sbagli doveva essere parte integrante del processo.
Ho cominciato a considerare l’errore come qualcosa di “fantastico”: mi ha dato la possibilità di attribuire ad alcune immagini significati che non comparivano nei miei intenti originari. Emblematica è la foto in cui l’ombra della mia figura ritagliata assume, sorprendentemente, la forma di “ali” che mi conferiscono inaspettate sembianze angeliche.
Ma questo, in fondo, non è forse quello che sarebbe auspicabile accadesse nella vita di ognuno?
Perché interpretare gli errori alla stregua di fallimenti definitivi e non considerare, invece, ogni insuccesso come una preziosa opportunità di crescita personale?
A.C.
Parliamo del titolo che hai dato al tuo ultimo lavoro: la frase “Nel buio ho trovato l’azzurro e l’oro” è molto evocativa e mi sembra che si possa prestare a diverse interpretazioni.
F.D.T.
Il processo fotografico ha sempre bisogno del buio di una camera oscura per poter intercettare unicamente la luce dell’immagine catturata dall’obiettivo. Nell’atto di tagliare fisicamente le fotografie ho immaginato di essere immersa in questa indispensabile oscurità e la luce che ho catturato era quella dell’azzurro – impreziosito dall’oro -, il colore che Leonardo associa alla nostra atmosfera. Ritrovare l’azzurro e l’oro ha significato per me trovare il pensiero, cioè quell’immaterialità che più si avvicina ad una dimensione spirituale.
A.C.
Nel tuo scritto di presentazione al libro “Nel buio ho trovato l’azzurro e l’oro”, ho trovato molto condivisibile uno dei messaggi sottesi al tuo lavoro. Cito testualmente “non è tutto fluido, scorrevole quello che accade e ci accade, ma spesso insidioso e fratturato”. Non trovi che attualmente ci sia un abuso dell’utilizzo del termine “fluido”?
F.D.T.
L’idea di essere immersi in un fluido avvolgente è molto affascinante ma la ritengo poco utile se questo ci impedisce o ci distoglie dall’affrontare gli spigoli e di confrontarci con le fratture che inevitabilmente la vita ci pone dinnanzi. Quando ho concepito quest’ultimo lavoro ho meditato sull’immagine di un piatto che, cadendo, si frantuma in innumerevoli pezzi, ho riflettuto sui terremoti, sulle crepe che si aprono nella terra e, purtroppo, anche sulla guerra e sulla distruzione che ne deriva.
Sono convinta che cercare di sovrapporre alla vita reale la tecnica giapponese del kintsugi, che riempie con l’oro le crepe delle ceramiche rotte trasformandole in preziosissime cicatrici, non sia la cosa migliore che possiamo fare per noi stessi.
Penso che non si debba tentare di rimarginare velocemente fratture e ferite: anche se possono apparire oscure e dolorose, ci invitano a osservarle attentamente poiché solo al loro interno risiede quello spiraglio di luce che, in qualche modo, può offrirci conforto.
A.C.
“Paura, tagli, ferite, insidioso, abisso, cadute, fratture, fragilità, imperfezioni, aggressioni”: sono, in
sequenze, parole che hai scelto per illustrare il tuo ultimo lavoro. A sette mesi da questo simbolico “parto”, come ti senti?
F.D.T.
Mi sento meglio perché, come ho già detto, ho sperimentato quella reale sensazione di libertà che mi spinge ad affrontare con coraggio la mia ricerca artistica. Non vedo l’ora di immergermi ulteriormente nel lavoro sulla materia: oltre ad averne un profondo bisogno sono anche incoraggiata dall’accoglienza positiva che “Nel buio ho trovato l’azzurro e l’oro” sta ricevendo. Per me si tratta di una nuova modalità espressiva anche se non posso ignorare il fatto che ritrovo ancora qui le tematiche che hanno permeato il mio lavoro del 2009, “The black line serie”,
… come se non potessi sfuggirvi…
intervista a cura di
Annamaria Cassani
Francesca Della Toffola
📩 info@francescadellatoffola.it
Galleria Melesi
Via Mascari 54, Lecco
📩 info@galleriamelesi.it
📞. 0341 360348 / 348 4538002
mostra collettiva
“L’Istante non esiste”
curata da
Lumis Arte
📩 lumisarte@yahoo.com
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