Smart Working
Trend sociologici, traumi economici e/o epidemici impattano direttamente sui nostri usi e costumi trasformando il nostro modo di abitare e facendo emergere necessità prima sconosciute.
Ho riconsiderato una serie di appunti stesi in piena pandemia, nati sull’onda emotiva del primo lockdown, trascorso in quasi totale isolamento nella mia abitazione-studio.
Rilette a sette mesi di distanza, mi sembrava di aver espresso nella parte finale di quelle pagine una serie di considerazioni semplici, immediate ed intuitive, tali da poter essere associate al pensiero di chiunque avesse vissuto a casa propria il periodo di isolamento.
Ma, poiché non più tardi di un mese fa ho avuto modo di constatare che colleghi più in vista e socialmente in evidenza hanno espresso, attraverso media diversi, le medesime considerazioni semplici, immediate e intuitive, colgo l’occasione per proporlo on-line.
C’è un nuovo anno zero. La recente pandemia ha fatto da spartiacque tra una visione del mondo pre e post Covid 19, in un’era geologica definita non più di un ventennio fa come Antropocene.
Se non fosse altamente drammatica la cosa potrebbe fare anche sorridere dato che con Antropocene si indica un’epoca geologica in cui il nostro Pianeta è fortemente caratterizzato dall’azione della razza umana che ne trasforma l’ambiente, il territorio, il clima.
Ebbene, siamo di fronte ad un organismo nuovo, invisibile ai più, che ha fatto emergere la fragilità del nostro secolare e collaudato sistema e, al contempo, ha messo in evidenza le capacità di adattamento dello stesso.
Darwin sarebbe stato contento? Accanto a lockdown la locuzione anglofona che maggiormente è circolata nei media è stata smart working (letteralmente lavoro agile), erroneamente assimilata al concetto di home office, – più noto da noi, paesi dell’Europa mediterranea,– che già da un quarto di secolo richiama immagini di padri nordeuropei con tanto di bebè nel marsupio intenti a scrivere articoli o mandare e-mail tra una poppata e l’altra, di fronte a scrivanie dai nomi impronunciabili.
Dando per acquisita l’assimilazione dei concetti esposti, nella consapevolezza di dover procedere per necessarie semplificazioni, se assumiamo come definizione di smart working quella data nel 2019 dall’Osservatorio del Politecnico di Milano e cioè “una nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione dei risultati” , allora viene da pensare che certe sartine degli anni ’60 e ’70 del secolo scorso che si adoperavano a svolgere il loro lavoro in ambiente domestico per arrotondare le entrate familiari, fossero fautrici di un inconsapevole smart working “ante litteram”.
Senza entrare nel merito della descrizione degli aspetti positivi e negativi del metodo di lavoro, se è vero che il 58% delle aziende, in tempi non sospetti, aveva già introdotto iniziative concrete in merito delineando un trend, allora viene da sé che chi si dovrà occupare della progettazione di nuove abitazioni o della ristrutturazione di quelle esistenti (un patrimonio notevole in Italia, pari al 90% del costruito) dovrà inevitabilmente tener presente questa tendenza e pensare ad una nuova distribuzione degli spazi domestici e magari anche progettare nuove tipologie di arredi.
Perché evidentemente non si tratta solo di spostare la cassettiera per far posto, in camera da letto o alle spalle del divano del soggiorno, ad una nuova scrivania un-metro-eventi-per-sessanta-massimo comprata nella grande distribuzione: si tratta di organizzare gli spazi in modo da garantire tutti quegli aspetti che caratterizzano, o dovrebbero caratterizzare, un luogo di lavoro d’ufficio (per tutti gli altri tipi di mansioni atti alla produzione di beni più tangibili occorrerà aspettare che la fantascienza narrata da tanti grandi autori si trasformi in scienza applicata): comfort acustico, comfort ambientale e comfort visivo in primis. In che modo poter calare correttamente questi aspetti in un ambiente abitativo?
Si potrebbe pensare alle case che, anziché adottare i medesimi cliché cui siamo abituati e che danno luogo a soluzioni in disarmonia con il processo di cambiamento in atto, possano recepire un ribaltamento dell’approccio, progettando luoghi di lavoro che fungano da abitazione attraverso un equilibrato e armonioso processo di “ibridazione”?
Se esiste una risposta positiva alla domanda allora si potrebbe ipotizzare, ad esempio, ad abitazioni/ufficio in cui lo spazio ingresso/filtro ritorni ad avere una sua dignità e, in questi tempi sospetti, anche con funzione di decontaminazione dall’esterno, magari con accesso diretto ad un bagno di servizio per completare le operazioni di igienizzazione che ormai sembrano essere entrate nelle nostre quotidianità.
E ancora si potrebbe pensare che, dal medesimo spazio/filtro d’ingresso, sia consentito accedere direttamente alla camera matrimoniale – lo spazio in assoluto più sottoutilizzato negli orari diurni – opportunamente isolata fisicamente ed acusticamente, da allestire come un vero e proprio locale ad uso ufficio, magari con un divano trasformabile dal meccanismo perfetto al posto del simbolico talamo nuziale e arredato con mobili frutto di una progettazione che integri esigenze casalinghe ed esigenze lavorative.
E si potrebbe pensare anche, contrariamente a quanto avviene tuttora per l’elemento balcone solitamente “allegato” alla zona giorno, di dedicare un ulteriore spazio esterno collegato direttamente alla camera/ufficio da allestire come spazio lavoro all’aria aperta opportunamente attrezzato anche da un punto di vista impiantistico.
Proseguendo sulle ali dell’immaginazione si potrebbe pensare, in un’epoca di aumento delle richieste di consegna di cibo pronto a domicilio, ad una drastica riduzione dello “spazio cucina” a favore del ritorno dello “spazio tavolo da pranzo”, rettangolare, di dimensioni importanti, troppe volte sostituito in passato da bancone con sgabelli, soprattutto negli appartamenti di piccolo taglio. In tal modo l’ambiente verrebbe opportunamente attrezzato ed affiancato, ad esempio, da elementi porta-smart tv per un vero e proprio utilizzo come tavolo riunioni, postazione per videoconferenze ecc., in uno spazio in cui ancora una volta i mobili possano contenere indifferentemente materiale casalingo e d’ufficio.
Tornando coi piedi per terra si potrebbe pensare anche che, come si dice, non si possano fare i conti senza l’oste e che il processo di ibridazione ipotizzabile ben si sposa per nuclei familiari “single” o al massimo di coppia, con consolidate affinità elettive. Cosa accadrebbe in caso di famiglie più numerose? Parlando ovviamente di Millennial e di Generazione Z sappiamo, per esperienza più o meno diretta, che il loro concetto di spazio-tempo e di ritmi circadiani è diverso da quello delle generazioni che li hanno preceduti e che il concetto di polifunzionalità sembra davvero far parte del loro corredo genetico.
E allora probabilmente potrebbe essere interessante, e magari urgente, pensare a come dovrebbero essere allestite le loro case, proprio in funzione di nuove abitudini sviluppate con l’epoca digitale.
Ma tutto questo, magari, in una prossima puntata.
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