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Architettura,  Design

Una mattina al museo

Una guida d’eccezione ci accompagna nella visita dell’ADI Design Museum inaugurato Milano lo scorso 25 maggio: Umberto Cabini, Presidente Fondazione ADI Collezione Compasso d’Oro e vicepresidente Associazione ADI.

La visita inizia “fuori”. Una breve sosta nella piazzetta antistante l’edificio, intitolata al Compasso D’oro, ci fa respirare un’aria di sacralità: i rumori di una Milano che è tornata a ruggire arrivano attutiti davanti a questa sorta di sagrato.
Occorre prendersi del tempo per percorrere questo tempio del design e si può anche decidere di entrarvi senza visitarlo nelle sue esposizioni, unicamente per ammirare l’architettura di un edificio esempio di archeologia industriale, attraversando lo spazio della galleria che collega la piazzetta a via Bramante decidendo semplicemente di sostare nella caffetteria oppure nel bookshop antistante.
Ma… se si decide di “varcare la soglia” allora si deve sapere che ci aspetta una sorta di macchina del tempo: quasi 70 anni di storia del disegno industriale italiano è esposta e narrata -non solo per la community del design ma anche ai non addetti al settore- in modo permanente accanto alle mostre tematiche temporanee.
Seduti attorno ad uno dei numerosi tavoli della caffetteria cogliamo l’occasione per fare quattro chiacchiere con uno dei protagonisti della nascita di questo nuovo Museo, perché pensiamo che nella vita di ciascuno gli oggetti materiali siano quantomai importanti ma che siano soprattutto le persone a fare la differenza.
 

Esterno Ingresso Vetrato ADI

Annamaria Cassani:
Chi è l’uomo Umberto Cabini?

Umberto Cabini:
Sono sempre stato a contatto con il mondo del “bello”: poco più che ventenne avevo una galleria d’arte. L’improvvisa e prematura scomparsa di mio padre mi ha catapultato nel mondo dell’imprenditoria e mi sono trovato a condurre l’azienda di famiglia che produceva mobili in metallo per uffici.Il settore era da qualche anno in crisi e mi sono chiesto se valesse la pena continuare ad investirci oppure si dovesse pensare a qualcosa d’altro.
Ho optato per la seconda opzione: già l’azienda aveva una piccola produzione dedicata al settore delle farmacie e ho pensato che sviluppare questa strada avrebbe potuto essere l’occasione per occupare un posto di leader in un settore di nicchia.
Nel 1980 nasce ICAS (Industria Cassetti) sulla base di tre presupposti: design, qualità e sostenibilità.
Per la nuova azienda il punto di svolta è arrivato quando si è deciso di passare dalla produzione di cassetti per farmacie in ferro verniciato (la concorrenza tedesca dava del filo da torcere!) ad un’analoga però utilizzando l’alluminio, materiale in linea con la nostra filosofia dell’ecosostenibilità, oggi concetto diffuso ma non così tanto all’epoca.
Siamo diventati leader del settore: inizialmente ci si è aperto il mercato francese, poi ci siamo espansi anche in altri Paesi europei.
La conferma di essere sulla giusta strada ci è arrivata con l’assegnazione, nel 1989, del premio ADI Compasso d’Oro per il cassetto BOOMERANG, con piani inclinati, sviluppato da ICAS in collaborazione con l’architetto Giampietro Tonetti. Si trattava di un sistema rivoluzionario per l’epoca, basato sulla tecnologia “First In, First Out” (FIFO). Uno dei maggiori problemi che i farmacisti rilevavano nei precedenti sistemi di stoccaggio dei farmaci era la presenza di confezioni scadute perché gli operatori di fatto vi pescavano casualmente: il nostro prodotto Boomerang, attraverso la pendenza del cassetto, faceva scivolare le confezioni verso l’esterno agevolando così il prelievo del prodotto in ordine di scadenza.
Oltre a questo premio, poi, l’azienda ha avuto anche altre candidature per il Compasso d’Oro e altri premi a livello europeo.

A.C.
Quando è iniziato e qual è stato il tuo percorso in ADI che ti vede adesso presidente della Fondazione nonché vicepresidente, insieme ad Antonella Andriani, dell’Associazione?

U.C.
Mi sono associato come imprenditore all’ADI nel 1987. Avevo nel frattempo chiuso la galleria d’arte ma la passione per quel mondo è sempre rimasta e la mantengo viva tuttora attraverso il collezionismo.
Ancora prima avevo rivestito altre cariche sia nel mondo dell’imprenditoria come presidente dell’Associazione industriali di Cremona, sia nel settore dell’arte attraverso la costituzione a Crema dello spazio ARTEATRO, dedicato all’arte contemporanea.
Ho cominciato a frequentare l’ambiente dell’Associazione fino a ricoprire alcune cariche, inizialmente nel Consiglio Dipartimento Imprese, poi come presidente del medesimo Dipartimento fino ad arrivare a coprire, sei anni fa, la carica di vicepresidente Adi e di presidente della Fondazione.

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A.C.
La Fondazione ADI raccoglie e custodisce nella “Collezione Storica del Premio Compasso d’Oro” i progetti premiati in 67 anni di istituzione del premio creato da Gio Ponti nel 1954. Quale ideale o filosofia è sottesa a questa attività?

U.C.
L’intento comune era quello di arrivare ad avere la “nostra casa”, un luogo ove poter esporre in modo non iconico, ma soprattutto esperienziale, i quasi 70 anni di percorso del premio Compasso d’Oro: recuperare dai magazzini dove erano certamente conservati e tutelati, ma invisibili a tutti, quei 2500 oggetti, di cui 350 premiati, ed esporli per conferire loro tutto l’onore che meritavano come frutto dell’ingegno della nostra cultura italiana.
L’ADI nasce nel 1956 e due anni dopo l’Associazione inizia a raccogliere gli oggetti premiati che per regolamento devono essere depositati presso l’Associazione.
La collezione ovviamente nel tempo si è arricchita e nel 2001 si è creata la Fondazione con lo scopo di tutelare questo patrimonio anche attraverso opere di restauro.
Nel 2004 il Ministero dei Beni Culturali ha riconosciuto questa collezione d’interesse per il Paese.
Il nostro scopo? Diffondere e valorizzare il Made in Italy nel mondo e anche per questo stiamo cercando di creare relazioni internazionali, con visite anche al di fuori del continente europeo per esplorare altre realtà che ci potrebbero dare spunti interessanti.

A.C.
Si può dire che l’ADI Design Museum di Milano sia una casa del design a livello internazionale? Quali sono i riferimenti principali in Europa?

U.C.
I
n Europa importanti Musei del design si trovano a Londra, Lisbona (nell’edificio progettato da Vittorio Gregotti) e a Copenaghen. Le loro raccolte sono, a differenza della nostra, di tipo internazionale. 
Il nostro Museo è diverso: vuole uscire dal concetto di una esposizione iconica degli oggetti, rappresentandone anche le modalità della loro nascita con una particolare attenzione per i materiali.

A.C.
Che rapporto intercorre tra voi ed il Museo del design milanese con sede nel Palazzo della Triennale?

U.C.
Con il Museo della Triennale abbiamo un rapporto di collaborazione. Anzi, dirò di più: prima dell’esplosione della pandemia avevamo costituito un’Associazione per il Design milanese che vedeva riuniti Triennale, ADI e i Musei d’Impresa. I vari lockdown che si sono susseguiti hanno rallentato l’iniziativa.
Spero che in futuro la collaborazione con Triennale possa diventare ancora più stretta attraverso percorsi analoghi e paralleli perché è importante realizzare sinergie.

A.C.
Umberto, che cosa vuole dire per te la parola “design”. Da quali elementi non si può prescindere nella sua definizione?

U.C.
Sicuramente il design deve esprimere la contemporaneità: cultura, materiali e tecnologie che precedentemente non esistevano. Forme e funzioni si devono ispirare al tempo in cui l’oggetto è stato progettato.
Pensiamo solo al settore dell’illuminotecnica: un tempo la forma delle lampade era influenzata dall’utilizzo delle lampadine fluorescenti, oggi invece dalla tecnologia a led.
Credo che i materiali abbiano una grande influenza sul progetto: negli anni ’50 l’avvento della plastica ha letteralmente rivoluzionato il mondo delle forme negli oggetti d’uso quotidiano!
E ancora oggi i materiali influenzano la realizzazione dei prodotti.
Quando si parla di sostenibilità occorre approcciarsi in modo diverso rispetto alla progettazione: pensare, ad esempio, alla possibilità di scomporre gli oggetti nei diversi materiali che li costituiscono per favorirne il recupero e il riciclaggio, oppure lo smaltimento a fine vita.
Nello stesso mondo delle automobili si può notare come proprio i materiali e tecnologie abbiano influenzato il settore e lo si percepirà ancora di più in futuro con la diffusione delle auto elettriche.
La tecnologia influisce tantissimo su quello che è il processo sotteso al concetto di design, su quella che potremmo definire “l’evoluzione delle varie specie di oggetti”.

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A.C.
È cambiato, nel tempo, il concetto di “design”?

U.C.
Io credo che il concetto di design sia cambiato completamente nel corso degli ultimi anni o, meglio, abbiamo assistito ad una dilatazione degli ambiti di appartenenza.
Nel secondo dopoguerra si parlava di design riferendosi a quegli oggetti maggiormente legati al mondo “casa”: si era in presenza di un fenomeno di rinascita e i nuovi materiali offrivano l’occasione per realizzare quei prodotti, ed erano molti, assenti sul mercato.
Con l’assegnazione invece degli ultimi Compassi d’Oro si è potuto constatare l’estensione del concetto di design anche ad altri settori.
Credo che il bello piaccia sempre e sia percepibile anche per prodotti che nessuno definirebbe di design, quali ad esempio i trattori piuttosto che le macchine utensili. Ogni oggetto può essere disegnato seguendo il gusto contemporaneo, in modo che, al di là della funzione che ovviamente deve essere sempre garantita, possa suscitare piacere alla vista. Un po’ come una bella automobile: prima ci seduce alla vista, poi indaghiamo sul motore!

A.C.
C’è qualche aneddoto che vuoi raccontarci, magari qualche traversia o difficoltà incontrata e superata in un annus  horribilis quale è stato il 2020  che ha preceduto l’apertura dell’ Adi Design Museum ?

U.C.
Il progetto attuale per l’ADI Design Museum parte nel 2011 con la stipula della convenzione con il Comune di Milano che metteva a disposizione gli edifici (ex deposito dei tram a cavallo divenuto poi centrale Enel per la distribuzione dell’energia elettrica) impegnandosi nella loro ristrutturazione.
L’idea era già stata sottoposta al Comune qualche anno prima ma mancava uno spazio adeguato sul territorio cittadino.
La realizzazione materiale del Museo ha subito rallentamenti per operazioni di bonifica che si sono protratte nel tempo.
Si arriva, passo dopo passo, a fissare l’apertura per il giugno del 2020 ma la forte situazione di incertezza a causa della pandemia ci ha obbligati a continui rinvii che hanno comportato non pochi problemi per la gestione dei costi aumentati (personale già assunto, ecc.).
Finalmente si arriva al 25 maggio scorso, un giorno che ha visto ben tre inaugurazioni: una al mattino per le Autorità, con la presenza del Ministro Franceschini, una nel primo pomeriggio per i soci ADI e l’ultima nel tardo pomeriggio per il pubblico.

A.C.
Quale sarà il contributo di ADI per il Supersalone di settembre?Ritratto Cabini Umberto

U.C.
ADI collabora ad ogni edizione del Salone del Mobile.
Quest’anno ci è stata affidata la progettazione di una mostra legata al mondo della sedia: un excursus storico dagli anni ’60 ad oggi.
Mi piacerebbe che questa mostra potesse poi essere veicolata in altri ambiti, in altre regioni o nazioni.
Ricordo anche che ADI collabora per il Padiglione Italia per l’Expo che si terrà a Dubai da ottobre 2021 a fine marzo 2022.

A.C.
Quanto persone “muove” ADI? Come siete organizzati?

U.C.
È tutto su base volontaria, così come è per le associazioni in genere.
C’è un Consiglio Direttivo e i Dipartimenti. Oggi ADI è una struttura capillare su tutto il territorio nazionale; ci sono i presidenti territoriali e tutti collaborano per lo sviluppo e la diffusione della cultura italiana del design.
Una delle nostre priorità come Fondazione e come Associazione, rappresentata dal presidente Luciano Galimberti, è quella di estendere la base associativa.

A.C.
Umberto vuoi aggiungere qualcosa che magari non è emerso in questa chiacchierata?

U.C.
Mi sembra importante sottolineare che all’interno della nostra Associazione abbiamo due scuole: il Gruppo IED che ha stretto con Fondazione ADI una partnership e il POLI.design, che fa capo al Politecnico di Milano.
Entrambe le scuole sono presenti all’interno del museo con video progetti.


s f o g l i a l a g a l l e r i a  &  g u a r d a i l v i d e o

 



a cura di
Annamaria Cassani

guest
ADI Design Museum
Piazza Compasso d’Oro, 1
20154 Milano MI

immagini
Adriano Pecchio

videomaker
Elisa De Rose

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