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Interviste,  Outdoor

Sull’albero: un tree climber in chioma

Perché chi va in cantiere deve sapere come funziona un albero?

È iniziato il periodo delle potature, per cui stiamo assistendo alla danza macabra delle tantissime mutilazioni inutili.

La cura degli alberi va affidata solo a un professionista, ecco perché ho chiesto a Ellis Ciapparelli di Giardini per Natura, climber preparato e ottimo divulgatore, di raccontarci del suo lavoro.

 

 

 

Alessandra Corradini
Ellis come sei arrivato a decidere di fare il tree climber? Come ci si forma?

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Ellis Ciapparelli
Da bambino ho avuto la fortuna di avere un giardino in cui inventarmi avventure spericolate e mi sono salvato diventando perito agrario. Ho cominciato come impiegato in una rivendita per professionisti del giardino, per poi trasferirmi a Barcellona dove ho lavorato come giardiniere in un hotel. Rientrato in Italia, ho lavorato per una cooperativa che curava le alberature comunali: ho imparato bene la gestione del cantiere e lavoravo su piattaforme aeree, ma potavo male, come mi avevano insegnato e come quasi tutti allora facevano. Spesso non eravamo in grado di rispettare le prescrizioni dell’agronomo ed è lì che ho deciso di migliorarmi, comprando il primo libro di arboricoltura.
Al tree climbing sono arrivato dopo, perché è un metodo di lavoro che non può prescindere da una base teorica. L’arboricoltura è una disciplina giovane, ognuno ci arriva in maniera diversa e a chi vuole iniziare posso dire che non c’è un modo preciso, bisogna costruirsi delle occasioni. Consiglio di appassionarsi agli alberi e a “come funzionano” prima che alla tecnica, per la quale basta una buona condizione fisica, un corso abilitante e tanta pratica. Devo la mia formazione teorica e pratica anche alla SIA (Società Italiana di Arboricoltura) in cui certificazioni, campionati, convegni e confronto tra colleghi creano opportunità di lavoro e fraterne amicizie.

A.C.
Visto che hai citato la SIA, ti chiedo se puoi parlarci della poco nota figura dell’arboricoltore.

E.C.
Partiamo da un principio: gli alberi vivono bene nelle foreste. Nelle città stanno in luoghi dove il seme da cui provengono non sarebbe mai germogliato e infatti vengono piantati quando sono già un po’ cresciuti: da quel momento intraprendono tutte le strategie in loro possesso per poter sopravvivere. Il suolo non adatto, la pavimentazione che impermeabilizza e scalda il terreno, le troncature delle radici a causa di lavori e le potature ad opera di incompetenti consentono agli alberi di sopravvivere mediamente solo per qualche decina di anni.

L’arboricoltore tecnico (Dottore forestale/Dottore agronomo/Perito agrario/Agrotecnico specializzato in arboricoltura) è il libero professionista a cui rivolgersi per censimenti, perizie e per sapere quale albero piantare in uno specifico sito e quali caratteristiche deve avere il sito di impianto.

 

L’arboricoltore che presta cure dirette – con il lavoro su fune o con piattaforma – è il professionista che, in accordo con il tecnico, si dedicherà ad abbattimenti necessari, nuove piantagioni, potature, consolidamenti e trattamenti, per consentire all’albero di vivere a lungo e in salute.

 

 

Oggi noi usciamo dal binomio albero/potatura, perché in ambito urbano ci dedichiamo spesso a questioni altrettanto importanti: interveniamo sul terreno per decompattarlo e fertilizzarlo, programmiamo la gestione di un albero per più anni, forniamo assistenza per tutelare gli alberi nei cantieri edili.

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A.C.
Chi sono le persone a cui non dobbiamo (più) chiedere di eseguire le potature sugli alberi?

E.C.
Questa è una domanda complicata, perché se è facile capire chi lavora davvero male, troncando rami di grosse dimensioni e portando l’albero ad assomigliare ad una grossa forchetta, più complesso è, per i non addetti ai lavori, capire chi non lavora bene.

In generale possiamo dire che un albero ben potato non varia di molto né la forma né la dimensione rispetto a prima della potatura.

Un arboricoltore è certamente in grado di argomentare bene e con semplicità il lavoro che andrà a svolgere e le motivazioni alla base delle sue scelte,

perché ogni albero è un esemplare unico, è il risultato del proprio patrimonio genetico in relazione a dove si è sviluppato e agli accadimenti che gli sono occorsi. Gli anni di esperienza di potatori improvvisati e senza studi alle spalle, invece, sono un vero problema, perché chi pota male è esperto solo di questo.
Consiglio di chiedere curriculum, certificazioni e foto di lavori svolti: qualunque professionista è interessato a mostrarli.

A.C.
Che cosa possiamo suggerire a chi si occupa di progettazione e si trova a lavorare in un cantiere in cui ci sono alberi preesistenti? Che cosa conviene fare perché i lavori pesanti non pregiudichino gli alberi e viceversa?

E.C.
In fase di costruzione edile o di ristrutturazione aver cura della vegetazione presente è importante, perché un albero ci mette anni per diventare tale, mentre a un escavatore basta poco per comprometterlo. Prima che un albero molto giovane abbia lo stesso valore – in termini ecosistemici ed economici – di un albero che abbiamo dovuto abbattere ci vogliono anni o decenni.
In cantiere ci sono poche regole, ma importanti. Non appoggiare materiale al tronco e non usare la zona sottochioma come deposito; per gli scavi è necessario tenere la massima distanza di rispetto dal tronco e quindi dalle radici (idealmente potremmo dire 2 o 3 volte il diametro della chioma). Volendo essere realistici, diciamo che si consideri fascia di rispetto almeno quella che riguarda la proiezione a terra della chioma. So che spesso tutto questo non è possibile, per cui è utile farsi assistere da un arboricoltore che può certamente limitare i danni, ad esempio esponendo le radici per mezzo di una lancia ad aria (air spade), oppure intervenendo con rifilature e disinfezioni di eventuali radici rotte. O ancora, per quanto riguarda i suoli su cui è stato depositato materiale o su cui sono passati mezzi pesanti, è possibile rimediare con un decompattamento del terreno ed una concimazione con palo iniettore. Anche le “potature” effettuate dagli operai del settore edile, in occasione del montaggio di un ponteggio o per il passaggio di macchine operatrici, sono un altro grave problema sconosciuto. Spesso è previsto che questi stessi alberi mutilati (o con le radici mutilate, ma ricoperte dalla terra e poi dal nuovo prato seminato) restino lì dove si trovano, a cantiere concluso: nulla di più pericoloso! Chi ha la responsabilità del cantiere edile dovrebbe conoscere le conseguenze di questi gesti che compromettono la sicurezza di tutti. Prima dell’inizio del cantiere, quindi, conviene prevedere un sopralluogo con un arboricoltore che pianifichi gli interventi ed eviti, o limiti al minimo, i danni.

A.C.
Si parla molto di alberi nei contesti urbani e di moltiplicarne il numero nelle grandi città.

E.C.
Negli ultimi tempi sono volate cifre surreali di piantagione: mille miliardi di alberi nel mondo in nove anni! Questo numero di alberi non esiste nei vivai e un albero non diventa tale da un anno all’altro, manca pure il personale formato per effettuare queste piantagioni e, infine, non basta piantare un albero se non si fa attenzione a dove collocarlo! E una volta piantato, va accudito fino all’attecchimento, in particolare fornendogli acqua nei sempre più frequenti periodi siccitosi.
Sarebbe quindi più importante prendersi cura degli alberi già esistenti. E poi piantarne di nuovi, ma pianificando gli interventi e facendo in modo che possano rimanere in salute per molti anni.  Nelle città servono alberi di prima qualità, in grado di fornirci i servizi ecosistemici necessari: miglioramento della qualità dell’aria, mitigazione delle temperature e creazione di corridoi ecologici.

È, invece, proprio la mancanza di cura che ci porta a percepire gli alberi come pericolosi: dopo il forte vento che c’è stato a Milano nei giorni scorsi io non ho trovato un solo albero caduto che fosse sano. O un solo ramo rotto che non presentasse difetti strutturali, dopo più di un mese di carenza d’acqua che ha tolto elasticità alle fibre legnose!

A.C.
E la valorizzazione del legno locale? A te il compito di chiudere in bellezza!

E.C.
A questo riguardo, una delle figure contemporanee più interessanti è quella dell’operoso “segantino ambulante” che, attrezzato con moderne segherie mobili, riutilizza il legno risultante dalla fine vita di un albero, in modo che non sparisca con una fiammata nel camino.
Recuperare e valorizzare il legno ha in sé l’idea della continuità e diventa un gesto importante anche per la memoria collettiva: è il caso dei grandi alberi monumentali che, quando devono essere abbattuti, rappresentano una perdita per tutti.

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Penso al Cedro di Villa Mirabello a Varese del cui legno mi sono occupato con i colleghi di MateriArborea e le cui parti più piccole sono diventate semplici giochi per i bambini.

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Concludo dicendo che anche una parte di un nostro vecchio albero, tenuta in casa o in giardino, ci regala presenza e memoria, perché agli alberi la memoria di certo non manca. 


s f o g l i a l a g a l l e r i a


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