Si faceva chiamare Tinello
Se un giorno d’inverno un architetto: funzionalità e design emozionale in una originale rivalutazione dello spazio.
Nel grandangolo della memoria così è rimasto: tinello. Un nome a suo modo espressione di un’epoca, prendere o lasciare. Un passo indietro: Adriano m’aveva parlato di una casa di ringhiera, l’abitazione tipica che Milano ha reso celebre con i suoi Navigli, ma che in realtà appartiene al più vasto territorio residenziale lombardo.
Mi aveva raccontato, devo ammettere con una certa fascinazione, dell’appartamento in quel caseggiato, dell’intervento di ristrutturazione a cui aveva assistito, degli arredi disegnati intorno ai nuovi spazi, dell’eredità del luogo. Ma, più di tutto, della scelta dell’architetto di proporre un’idea capace di eludere i percorsi consolidati dell’abitare. Il tratto spontaneo della matita, che l’aveva condotto inizialmente ad una rivisitazione filologica del costruito, si è fatto audace riallineamento verso i temi dell’attualità domestica. L’impianto architettonico dell’edificio richiama le forme del quadrilatero e, ai tempi, vedeva il cortile interno come lo spazio condiviso tra avventori, attività, famiglie. Tutt’attorno, sui lati interni delle facciate e impennati su più piani, scorrono i ballatoi: un nastro di balconi lunghi e stretti che disperdevano gli abitanti davanti ai rispettivi ingressi.
La ringhiera li insegue, tutta ferro battuto e ritorto, senza saldature, sembra s’arrampichi sulla facciata del casamento terminando stremata in un angolo là in fondo. Adriano mi ha raccontato il “nuovo” appartamento con la sua macchina fotografica.
Un intervento edilizio denso e integrale che mi ha lasciato disorientato ma emozionato, meravigliato ma un po’ esitante. Lo spazio interno è stato completamente svuotato: l’impostazione originaria del bilocale non c’era più. La camera, il bagno ma soprattutto la cucina col tinello, spariti, demoliti. Sì, resisteva ancora il tinello, uno degli ultimi locali sopravvissuti al cambiamento dei tempi, dei gusti, dell’uso. Via i tubi, le porte, i muri: tutto sarebbe stato diverso.
E’ stato paziente Adriano, e veloce. Più veloce di me: mi invitava a guardare questa casa non come suggerirebbero i canoni tradizionali, le suggestioni del com’eravamo, ma ad interpretare lo spazio, la fisionomia del qui e ora. Interpretarlo con una nuova grammatica dell’architettura. Ci sono arrivato, tardi. La mia è stata una sorta di seduzione postuma.
Una volta in queste case di corte dal ballatoio si entrava direttamente nel tinello, un locale a metà strada tra il living (così lo chiameremmo oggi) e la zona pranzo. La cucina, di solito, se ne stava quieta e intimidita un po’ in disparte. E ammetteva la variante lessicale di “cuoci vivande”. I restanti locali, pochi, si inseguivano adiacenti l’uno all’altro e, spesso, per raggiungere quello in fondo li si attraversava condividendo, o lasciandola ai quattro venti, la pricacy di ognuno. Non ricordo corridoi, disimpegni, anticamere, nemmeno ripostigli: accessori riservati ad un raggiunto quanto morigerato benessere. In tempi più lontani il bagno se ne stava all’esterno, ecumenico e bendisposto verso gli abitanti dell’intero piano, appoggiato in fondo al ballatoio, sospeso sulla facciata. La voragine del progresso ha inghiottito tutto, ci rimangono fortunatamente le persone e la loro memoria. Era così.
Oggi l’appartamento, che con pazienza e mestiere Adriano mi ha illustrato sfogliando sullo schermo le sue foto, possiede tutte le virtù funzionali che lo rendono attuale, congruente con le nostre quotidianità. Sollecita le aspirazioni, diventa un riferimento, offre le risposte che ci attendiamo dalla progettazione contemporanea. Svuotata dalle partizioni interne, l’abitazione m’ha immediatamente colpito e, come dicevo, risulta spiazzante eppure così innovativa, accattivante. Perché si svolge e si riassume in un volume centrale che la felice, tenace matita dell’architetto ha reso protagonista della sua visione.
Una piacevole sensazione “di pelle” mi invita ad entrare e indugiare tra gli ambienti che appaiono e scompaiono secondo necessità, o capriccio, di chi vi abita. Uno stile estremamente attuale, allineato alla sobrietà delle linee moderne, ricercato quanto basta per materiali e finiture, mai ridondanti ma precise per accostamento di colori e capacità di esaltare il susseguirsi delle funzioni.
E’ un esperimento oltremodo difficile, sfidante, quando si hanno di fronte una superficie contenuta e i nostri desideri incontenibili.
Il progetto e la riqualificazione meritano ogni attenzione: una razionalità che non è algida nella sua perfezione, ma coinvolgente, raffinata, simpatica, che si arrende di fronte al gusto, al dettaglio prezioso e pensato, dimostrando le sfumature del suo carattere.
E così le misure, i particolari degli arredi, la prospettiva delle forme restituiscono gradualmente la sensazione, a fine giornata, di sentirsi finalmente a casa.
E’ stato paziente Adriano, e veloce. L’aveva capito, e ben prima di me.
s f o g l i a l a g a l l e r i a
testo
Riccardo E. Grassi
progetto
BETARCHITETTI
studio associato Daniele De Paz e Giacomo Ricci
immagini
Adriano Pecchio