Si fa presto a dire flessibilità
Ha radici nell’architettura vernacolare, si teorizza da 70 anni, ma è solo negli ultimi mesi che è sulla bocca di tutti.
In periodo di pandemia si è assistito, nell’ambito dell’architettura d’interni ad un ampio utilizzo della parola “flessibilita”, soprattutto per questioni inerenti all’edilizia residenziale.
Architetti noti e meno noti, direttori di riviste di settore, sottoposti alla rituale domanda su come vedessero il futuro delle abitazioni che nel corso della pandemia si erano fatte carico anche di ruoli solitamente estranei alla loro natura (lavoro d’ufficio e contemporanea convivenza familiare di tipo continuativo), hanno risposto con perfetto allineamento di vedute: “le abitazioni dovranno dare garanzia di flessibilità”.
Tuttavia, l’impressione è che questo termine, che ha una connotazione ben precisa e codificata anche da noti architetti e storici dell’architettura, si sia prestato a diventare un contenitore atto ad accogliere un po’ di tutto, anche quelle definizioni che poco c’entrano con il concetto di flessibilità.
Si, perché avere la possibilità di fare smart working sul tavolo della cucina o del living, oppure collocare una scrivania in camera da letto o nel corridoio non è una condizione sufficiente per far sì che una casa si possa definire flessibile; semmai, in tal senso si può parlare di “adattabilità” che non è nient’altro che la possibilità, per uno spazio, di far fronte, così come è, a diversi usi, anche dissimili da quelli per cui era stato progettato.
Il concetto di flessibilità, che ha suscitato dibattiti e dato luogo ad esperimenti attraverso progetti pilota sin dai primi decenni del secolo scorso, invece, implica la capacità di far fronte a diverse soluzioni “fisico/spaziali” attraverso l’uso di tecniche e di tecnologie. Un altro aspetto che riguarda il concetto di flessibilità è stato introdotto nel 1995 dall’architetto Rem Koolhaas che nel libro “S, M, L, XL” utilizza, per lo spazio architettonico, il termine “ridondanza”.
Scrive Koolhaas: “La flessibilità non è l’anticipazione esaustiva di tutti i possibili cambiamenti.
La maggior parte dei cambiamenti sono imprevedibili. (…) La flessibilità è la creazione di un margine – capacità in eccesso che permette interpretazioni e usi diversi e anche opposti”. In poche parole significherebbe introdurre dello spazio in più, una zona franca, non strettamente necessario, all’atto della progettazione senza pensare per esso, in quel frangente, ad una precisa funzione. Il che sarebbe sicuramente auspicabile e comprensibile (a chi potrebbe mai dare fastidio avere qualche metro quadrato in più?)
se non che questa modalità andrebbe a scontrarsi contro le dinamiche di un sistema economico /sociale che legano lo spazio ad un valore monetario che in alcuni contesti risulta davvero elevato.
Va da sè che i loft, – residenze ricavate da opifici o edifici commerciali dismessi – con le loro superfici e volumi decisamente superiori a quelli delle abitazioni tradizionali, rappresentino esempi tipici in cui la flessibilità può essere ottenuta attraverso il principio della ridondanza spaziale.
Ne risulta che il concetto di flessibilità, intesa come la possibilità per uno spazio di poter cambiare forma, è usata nei contesti attuali più per l’ottimizzazione e la massimizzazione d’uso di ambienti dimensionalmente limitati, al fine di restituire con mezzi tecnici e tecnologici quel senso di benessere e sicurezza che dovrebbe appartenere a tutte le abitazioni, con la possibilità di personalizzazione delle stesse secondo le esigenze individuali.
Progetti come il CityHome del Gruppo Changing Places del MIT Media Lab portano ad una interessante estremizzazione del concetto di flessibilità. Si tratta di una “scatola meccanica” in cui in poco spazio trovano posto un letto, un tavolo da pranzo, un piano cucina ed alcuni elementi contenitori. Tutte le componenti d’arredo sono comandate da motori interni che con molta facilità e fluidità espellono e ritraggono le varie parti rendendo così i piccoli appartamenti molto più vivibili. L’intera scatola poi può traslare in ogni direzione per lasciare più spazio di volta in volta là dove se ne abbia bisogno.
È all’interno di questa dimensione dell’abitare, basata sul principio dell’ottimizzazione degli spazi ridotti attraverso l’uso della tecnologia -in realtà qui meno spinto rispetto all’esempio sopra riportato-che si colloca il progetto per un bilocale di 42 mq netti, a Castellanza, in provincia di Varese.
Superficie interna ridotta, 200 mq di giardino e il desiderio del proprietario di non rinunciare a nulla: questi sono gli elementi da cui il progettista, l’architetto Tommaso Giunchi, è partito, per un progetto di arredo interamente realizzato su misura.
Immediata è la percezione della volontà di “legare” l’interno all’esterno in un continuum adottando una “fresca” colorazione verde per tutte le pareti, che si accompagna ad una carta da parati con motivi floreali ed optando per una laccatura bianca per tutti i mobili al fine di riflettere, anche negli spazi chiusi, la luce che filtra attraverso le grandi vetrate scorrevoli.
Ma la sfida più grande, a detta del progettista, è stata proprio quella di garantire con appropriate ed originali soluzioni tecniche la possibilità di poter ospitare, comodamente sedute, almeno 6 persone, a pranzo o a cena (il proprietario è appassionato di cucina) e, idea ancora più originale, rendere flessibile l’unica camera da letto in modo da poter accogliere nei fine settimana la figlia del proprietario e offrirle la possibilità di avere uno spazio personale per lo studio ed il gioco, magari insieme alle amiche.
Quali sono le soluzioni tecniche adottate in linea con il principio della flessibilità degli ambienti? Nella zona giorno il tavolo, realizzato in “legno bamboo”, come la pavimentazione, è stato pensato come un piano in legno scorrevole all’interno della penisola della cucina: ciò permette di fargli assumere diverse posizioni fino alla sua completa estrazione, senza sottrarre eccessivo spazio all’ambiente e secondo il numero di commensali. In questo ultimo caso una gamba ripiegata nello spessore del tavolo stesso consente una posizione free standing, adatta ad ospitare fino a 8 persone, addossata alla panca che si trova sotto il telo delle video proiezioni.
Nella camera, al fine di garantire la giusta privacy, il letto per la figlia del proprietario, è stato progettato interamente su misura come una sorta di alcova, rialzata e chiusa tramite ante apribili a libro e dotate di lamelle orientabili a guisa di persiane. Elementi contenitori scorrevoli su rotelle si estraggono dallo spazio sottostante il letto.
Sempre nell’ambito dell’utilizzo di accorgimenti tecnici per esigenze di flessibilità, l’unica produzione di serie, ma con misure adattate all’esigenza specifica del proprietario, è il letto matrimoniale dell’azienda francese Espace Loggia, specializzata nell’offrire soluzioni salvaspazio.
Il letto ha la caratteristica, quando non utilizzato, di poter scorrere verso l’alto, sino a toccare il soffitto e lasciando libero lo spazio sottostante diversamente utilizzabile.
Insomma, quando lo spazio reclama la tecnica risponde !
s f o g l i a l a g a l l e r i a
testo
Annamaria Cassani
progetto
Tommaso Giunchi architetto
immagini
Adriano Pecchio
styling
Laura Mauceri