Cover vicky t kSovvsKu4BM unsplash
Architettura,  Outdoor,  Paesaggistica

Il verde addosso

a cura di Alessandra Corradini

Alla fine della più lunga estate

Mio fratello mi ha detto che il furgone della sua azienda, danneggiato dalla grandine nell’ultimo caldissimo agosto, sarà riparato nell’aprile del prossimo anno. I carrozzieri hanno deciso di occuparsi prima dei tantissimi mezzi molto danneggiati e, solo in un secondo momento, di quelli che possono viaggiare, anche se non sono in condizioni perfette.

Cara estate, tu sei la mia stagione preferita,

quella in cui sono nata, quella in cui mi sono più emozionata e divertita. Sei la stagione che più mi ha fatto crescere, non puoi comportarti così. Nemmeno con tutti quei ragazzi che ti aspettano dopo un anno di scuola, perché sanno che regalerai loro una libertà che le altre tre stagioni non si tirano dietro.

Siamo ridotti come siamo e la situazione è questa: chissà come sarà la prossima estate, chissà il fatturato dei carrozzieri.

Mentre scrivo è autunno, il cielo di Milano è di quel bianco freddo che non lascia speranze, perché si sa che sarà così per giorni. L’emisfero sinistro del mio cervello dice di essere contento di questa situazione meteorologica. Nel frattempo ho legato e imbavagliato l’emisfero destro, per cui

adesso sono pronta per parlare di “verde addosso”. E che cosa sarebbe?

È un’espressione nata guardando prima i quaranta gradi sul mio cruscotto e poi una spianata di asfalto che faceva da parcheggio all’aperto di un centro commerciale:

“Se ragionassimo cercando di avere continuamente il verde addosso, certe scelte non ci verrebbero in mente”.

Questo è, per me, il verde addosso: una natura così vicina da poterla toccare, da doverci fare largo tra le foglie per vedere oltre, da dover guardare dove mettiamo i piedi, perché può essere che ci sporchiamo le scarpe. Verde addosso vuol dire che l’uomo decide di farsi furbo, usando la natura per ombreggiare con le foglie dei rampicanti, degli arbusti e degli alberi che mette a dimora.

Vuol dire schermare da sguardi indesiderati con gli arbusti e, quindi, scegliere quelli adatti ad ogni circostanza. Il verde addosso è un gesto semplice la cui semplicità oggi ci manca, come ci manca la dolcezza del clima.

Sembra una fuga dalla complessità in cui viviamo, un passo indietro, in realtà è l’unica soluzione per permetterci di farne parecchi avanti.

Il verde addosso dovrebbe essere un’abitudine umana consolidata, così nostra da non doverla né assimilare né discutere, un po’ come bere in caso di sete.

 E adesso facciamo un gioco. Proviamo a immaginare come si comporterebbe un’umanità per la quale il verde addosso fosse la regola.

Chiunque progettasse un parcheggio all’aperto penserebbe a quale pavimentazione utilizzare, perché il suolo assorbisse la pioggia in fretta. E poi sceglierebbe gli alberi ombreggianti, quelli più adatti a convivere con le auto (certo che ci sono!) e gli arbusti a delimitare.

Tutte decisioni normali e necessarie per abbassare la temperatura di questo enorme sagrato profano, sul quale oggi mettiamo in scena i nostri cali di pressione.

Le facciate degli edifici sarebbero ricoperte di piante, perché i progettisti lascerebbero lo spazio per grandi tasche di terra, disposte contro gli edifici stessi, in modo che basterebbe piantare i rampicanti e farli salire più in alto possibile.

E poi ci sarebbero grandi fioriere al posto di altre tipologie di parapetto.

E noi che cosa dovremmo fare?

Nient’altro che riempirle di arbusti ben scelti che farebbero il loro lavoro.

Così i rampicanti si arrampicherebbero e le piante ricadenti ricadrebbero, creando una vera coltre di foglie, fresca e lussureggiante. I balconi e i terrazzi sarebbero pronti ad accogliere il verde, perché nessuno, in fase di progetto, risparmierebbe sull’armamentario utile per fare le bagnature e per raccogliere l’acqua piovana.

E così prese d’acqua, canaline di scolo, pluviali e gronde renderebbero semplice la cura del verde e attenuerebbero i ruscellamenti fuori controllo. Perché se ogni singolo vaso ha il potere di frenare gli eccessi idrici, figuriamoci uno spiegamento di grandi vasche e di fioriere in muratura, colme di un verde rigoglioso, pronto a circondarci, a reggere il caldo infernale e il freddo, se mai ci sarà.

Tutti proveremmo il fascino delle graminacee che ce la fanno a queste temperature infernali e ondeggiano al vento per molti mesi all’anno, visto che sono belle anche d’inverno. Anzi, ci permetterebbero di scoprire il valore e l’eleganza del secco: non quello triste delle composizioni in vaso un po’ datate, ma quello vitale delle piante che se ne vanno in letargo per poi tornare.

Così ci sarebbero davanzali, balconi e terrazzi con un verde rigoglioso e naturalmente imperfetto, sofferente per il grande caldo o per il grande freddo, ma sfacciatamente bello nelle stagioni più temperate.

Un verde sempre e comunque parte della nostra vita e personalizzato, perché ciascuno se ne potrebbe occupare secondo le proprie forze, facendo un po’ come vuole, in grande libertà, senza ansie da patinatura e da rivista.

E lo stesso sarebbe in campagna, in montagna e al mare. Nei giardini tornerebbero i pergolati con i rampicanti e sparirebbero le mille pedane-lounge, le gettate di cemento, i padiglioni dei padiglioni dei padiglioni e tutto quel costruito il cui cattivo gusto impedisce alla pioggia di arrivare alla terra.

Sparirebbero un bel po’ di quegli impicci nemici della ciclicità della natura, ma amici delle scarpe pulite.

Questa normalità abbasserebbe le temperature, ci regalerebbe ombra, frescura, bellezza e destinerebbe la perfezione solo ai parterre italiani delle ville del Cinquecento e del Seicento.

Questi sono i nostri monumenti vegetali, sono la nostra storia e il nostro DNA di cui andare fieri.

Sono quei luoghi da visitare e da capire, in modo da reggere uno straccio di conversazione con gli stranieri che oggi li conoscono benissimo. È dal Seicento, in effetti, che li hanno presi ad esempio per la realizzazione del loro verde pubblico e privato, traducendoli secondo il loro sentire e il loro clima.

Conoscere i nostri giardini italiani rinascimentali e barocchi vuol dire riempirci gli occhi di una bellezza assoluta che torna a galla nella nostra testa, quando progettiamo il nostro verde contemporaneo.

Perché siamo anche un po’ fatti della materia di cui sono fatti i parterre italiani cinquecenteschi, no?!

Questo è il motivo per cui facciamo di tutto per progettare il verde lussureggiante dei parcheggi dei centri commerciali, per ombreggiare con le piante anziché con mille manufatti, per lasciare che l’acqua dreni e che l’umidità faccia il suo corso. Lo facciamo perché ci viene naturale dal Cinquecento e perché abbiamo capito che non ne possiamo più fare a meno, no?!

E lo stesso vale anche per chi non si occupa di progettazione, ma sente di voler fare la propria parte.

Quando qualcuno mi chiede – sempre più spesso, a dire la verità – che cosa può fare per il cambiamento climatico, io rispondo che non ho abbastanza conoscenze in questo campo scientifico.

Mi limito a dire che non si fa mai male ad andare in un vivaio, a farsi consigliare e ad acquistare qualche pianta di basso costo e di facile coltivazione.

Di quelle che il verde addosso te lo cuciono, sartoriale.


s f o g l i a l g a l l e r i a

ALESSANDRA CORRADINI
PAESAGGIO STUDIO
📩 info@paesaggiostudio.it
📞348 0465601

immagine di copertina
Vcky T – Unsplash


folderonline antracite

Hey, ciao 👋
Piacere di conoscerti.

Iscriviti per ricevere i nuovi articoli direttamente nella tua casella di posta non appena vengono pubblicati.

Accetta i termini sulla privacy *

Non inviamo spam! Leggi la nostra Informativa sulla privacy per avere maggiori informazioni.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *