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Interni,  Residenziale

Il Bianco? Un Evergreen!

Il colore-non colore che attraversa mode ed epoche: amato dagli architetti e temuto dagli artisti.

Bianco latte e bianco ghiaccio: a tre quarti del secolo scorso ancora non esistevano che poche tonalità per questo non colore, almeno nell’immaginario collettivo. La mia mente ritorna alle antiche discussioni familiari sulla tinta con cui verniciare i vecchi termosifoni in ghisa dell’appartamento: la componente femminile optava per la gradazione più calda ed accogliente, quasi burrosa, quella maschile invece per la tonalità più fredda, forse nel tentativo di rendere più virile un colore tradizionalmente associato, nella cultura occidentale, alla purezza e all’innocenza.

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Ciò che accomunava – del tutto all’oscuro, allora, del potere a lungo andare avvelenante delle miscele chimiche con cui “rinfrescavamo” le nostre abitazioni – era solo il buon odore di vernice che invadeva gli ambienti e permaneva nella casa per qualche giorno, a testimonianza dell’avvenuto, necessario rinnovamento. Un balzo in avanti e arriviamo alle soglie del 2018: Oikos,  azienda italiana all’avanguardia nella produzione di vernici ecologiche, lancia un nuovo progetto all’insegna dello slogan “187 sfumature di bianco” che, per un colore definito come acromatico e privo di tinte, appare davvero “tanta roba”, quasi da poterci scrivere quattro libri con altrettante trasposizioni cinematografiche. Ma la reale riflessione sul non colore bianco, deriva dall’aver recentemente visionato decine di servizi fotografici inerenti progetti di interior design: il 90% delle cucine presentate, di serie o realizzate su misura, erano di fatto bianche, con finiture diverse, più o meno lucide, opache, goffrate, ecc., accostate a materiali diversi, ma tutte rigorosamente bianche.

 
La prima considerazione che mi è venuta in mente, mutuata dal settore pubblicitario, è stata: ci piace vincere facile.
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Di fatto il bianco è un non colore che nel nostro immaginario è associato al concetto di pulizia ed igiene: enfatizzante di forme e volumi, valorizza luminosità e brillantezza per qualsiasi altra tonalità gli si voglia accostare: il bianco non esprime in modo sfacciato mode o tendenze ed è destinato, come immagine, a durare per interi decenni nel campo dell’architettura d’interni.
Per contro, il bianco – pur tanto amato dalla poetessa americana Emily Dickinson che aveva con questo non colore una relazione empatica – si carica di valenze negative, sotto forma di pagina vuota posta davanti allo scrittore che non riesce più a proseguire con fluidità il suo romanzo, o, addirittura, di risvolti terrorizzanti per Vincent Van Gogh, quando si trovava rinchiuso in una bianca stanza fredda in un manicomio del sud della Francia dopo essersi mutilato un orecchio.  

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Sulla scorta di queste considerazioni, che potevano fuorviare e liquidare velocemente la questione, il punto di vista si è spostato in modo naturale dall’interno all’esterno delle nostre abitazioni, coinvolgendo quel settore, arte, disciplina o comunque la si voglia definire, sicuramente “totalizzante”, che è l’architettura con la quale, sotto le varie forme, siamo tutti perennemente in contatto (anche durante il sonno, magari con visioni oniriche di stampo più “escheriano”)

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Non entro nel merito della descrizione dell’impiego del bianco in architettura di cui esiste una copiosa letteratura (non ultima la raccolta di saggi curata da Massimo Zammerini con il titolo “Il mito del bianco in architettura”), ma voglio solo citare testualmente l’architetto statunitense Richard Meyer che, nel corso di un’intervista del 2011, ha così affermato: “Innanzitutto, l’architettura è creazione di uno spazio definito attraverso superfici opache e trasparenti, elementi lineari e piani, aperture e chiusure. 

Tutti questi elementi sono essenziali per l’architettura, e il bianco rende più evidenti le differenze tra aperture e chiusure, tra solidità e trasparenza, tra elementi lineari ed elementi piani, tra involucro e struttura. Credo che il bianco renda vivi gli elementi architettonici.

… l’architettura è fatta dagli uomini, è statica, non cambia, non cresce nel tempo. È la natura che cambia durante il giorno, nel corso delle stagioni, e il candore degli edifici aiuta a riflettere la differenza tra ciò che è stato fatto dall’uomo è ciò che è naturale. Ci aiuta a percepire la natura che ci circonda e il modo in cui l’architettura la riflette.”

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Gran parte delle sue architetture esprimono questo concetto e a tal proposito viene spontaneo pensare anche ad  un altro grande architetto contemporaneo, ma appartenente alla scuola pionieristica dell’architettura green, l’argentino Emilio Ambazs e, in particolare,  al suo progetto del 1975 della “Casa del ritiro Spirituale” situata nei dintorni di Siviglia:  un volume che si staglia deciso tra terra e cielo e che riflette nella sua colorazione decisamente bianca tutta la luce solare che caratterizza il sud della Spagna.

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E allora, se possiamo assumere per l’architettura il bianco nelle sue valenze più positive, al di là di rigide posizioni ideologiche che sappiamo poter essere  ribaltate nel corso del tempo, ritorno  a  rivolgere lo sguardo verso  l’interno delle nostre case e mi sento rassicurata alla vista di una cucina, una parete-soggiorno, un salotto, un tavolo o una libreria di colore bianco: come una solida fondazione  per un edificio, il bianco offre un fondale sicuro ed emozionalmente positivo su cui appoggiare e  far emergere quegli oggetti tangibili che rappresentano i tratti più caratterizzanti del nostro vissuto, della nostra soggettività, delle visioni personali sulla vita: in poche parole, il nostro stile.


s f o g l i a l a g a l l e r i a

testo Annamaria Cassani

progetto Jacopo Mascheroni, architetto

immagini Adriano Pecchio 


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