Aziendesign #5: TONELLI DESIGN.
La lavorazione del vetro, tra tecnologia e tradizione: un racconto tutto italiano per un’azienda che ha rivoluzionato il settore dell’arredo.
Sarà l’aria. Forse quell’aria che percorre il litorale e poi s’allenta man mano che raggiunge l’interno, chissà. Che sia proprio quell’aria di confine tra Romagna e Marche, più dolce d’estate e appuntita d’inverno, che respirano i due soci di Tonelli Design, Michele Gasperini e Michele Bacchiocchi, a renderli così sagaci, frizzanti, gustosamente salmastri nella conversazione? Ebbene, volevo essere provocatorio con le mie domande, con qualche sottinteso, infilandomi nei “non detto” per strappargli qualche segreto in più e invece…
E invece mi hanno disarmato con la loro singolare parlata che sovrappone le “esse” alle “zeta” e che dimostra, già dal primo approccio, un’allenata capacità di governare la quotidianità dell’ordinaria amministrazione, che costantemente accompagna un’azienda di tal fatta, mista alla volontà di farsi travolgere dal lampo creativo che arriva intermittente sulle loro scrivanie dal pool di designers che firma le collezioni.
Nel sito di Tonelli Design compaiono tutti i nomi dei protagonisti del catalogo, un elenco di tutto rispetto in grado di sorprendere per varietà di oggetti ed elementi di arredo.
Chiacchierando e compitando il sito, o come si dice da quelle parti “sedendo e mirando”, mi sono fatto quest’idea: la produzione sembra concedersi ad una poesia di forme e design dal tratto preciso, pulito, lineare, minimalista quanto basta, elegante senza ostentazione, capace di tenere le distanze da quelli che potrebbero essere disciplinati esercizi di stile, sentimentalismi che strizzano l’occhio alla parte più ordinaria del mercato.
E glielo chiedo, al Michele, se la mia è solo un’impressione: “E’ così” mi risponde “La manifattura non può che essere di qualità lavorando col vetro e con i materiali che vi devono essere assemblati: la cura del dettaglio, le trasparenze, gli spessori vanno allineati ai tempi e ai processi di lavorazione. Se in tutto questo percorso c’è qualcosa che non ci soddisfa, abbandoniamo quell’oggetto o quell’idea. Magari con una fitta al cuore, visti gli sforzi, tuttavia giriamo pagina”.
Ci vuole coraggio per mettere in pratica l’assennato proposito, soprattutto quando gli sento dire che “l’universo è curvo ma la consapevolezza è diritta”. Lo traduco come l’ho inteso: la libertà (eresia?) del percorso creativo deve ad un certo punto essere imbrigliato e risolto con la concretezza, plasmato dalle esigenze di fattibilità.
Nel tragitto che porta l’idea a diventare progetto, e poi prodotto, trascorrono almeno sei mesi. E dentro questa dimensione spaziotemporale, mi dicono, “ci stanno lo studio, i tentativi, l’esigenza di arrivare ad un target di consumatori, la ricerca di un nome e infine il prototipo”.
Ma andiamo per ordine.
Tonelli Design nasce nel 1988 come falegnameria, con la stessa singolare iniziazione che contraddistingue la “bottega sotto casa”.
Nei primi anni Ottanta esordisce il Salone del Mobile di Pesaro, patria dei “cucinieri”, artigiani e aziende che si specializzano in mobili ed attrezzature per le cucine più amate dagli italiani. E Tonelli Design è in prima fila non appena ha modo di esporre la sua produzione.
Negli anni Novanta l’azienda si dimostra una realtà d’un certo peso ed inizia collaborazioni con designers di fama internazionale quali Isao Hosoe, Marco Gaudenzi, D’Urbino & Lomazzi.
Il Salone del Mobile di Milano, al quale partecipa dalla prima edizione, la consacra al grande pubblico.
Un ulteriore scatto d’anzianità e di rinomanza sul mercato lo si deve agli anni più recenti, da quando, nel 2010, gli attuali soci Gasperini e Bacchiocchi, ne rilevano la proprietà e si distribuiscono i compiti.
Chi fa che cosa perché un’idea finisca nel vostro catalogo? Le parole di Michele Gasperini esprimono i dettagli: “Nessun prodotto viene ideato internamente, tutti sono la felice esecuzione del tratto di matita dei designers esterni, una quarantina di professionisti cui soffiamo nell’orecchio i nostri desideri, a cui chiediamo di completare certe collezioni o di cui ascoltiamo le proposte”.
Come per una buona vendemmia occorre calcare le vigne tastando i grappoli al tempo giusto, così per Tonelli Design la raccolta di stimoli, le indicazioni di mercato, le nuove desinenze dei gusti dei consumatori o dei trend emergenti passa per i filari del Salone del Mobile: un punto prospettico per scrutare il panorama.
Bene, quindi chiedo: quanti nuovi prodotti, oggetti, complementi pensate in un anno? Non esitano: “Diciamo dai due ai sei pezzi, dando preferenza alle collezioni per integrare o completare l’offerta del catalogo”.
E allora ecco mettersi alla prova: ultimamente assistiamo ad un’incursione dell’ “effetto cemento” nell’arredo, una sorta di ritorno al brutalismo, quasi sproporzionato per dimensioni, spigoli vivi e rude approccio estetico alla finitura rispetto a quanto siamo stati finora abituati.
“Che si fa?” pronunciano i soci ad alta voce “Approfondiamo e poi decidiamo”. Ecco, dev’essere l’aria che si respira lì che rende coraggiosi e che, unita alla competenza, fa muovere gli ingranaggi della mente e dell’azienda, che innesca una sfida che è, prima di tutto, con se stessi, senza presunzione né mania di protagonismo.
E così, nell’arco di quattro settimane, ci dice Michele Gasperini, “accogliamo gli spunti dei designers, anche sconosciuti, che ci piace coltivare e lanciare, verifichiamo le tendenze, passiamo alla fase operativa”.
Dalla chiusura del Salone alla riapertura l’anno successivo, se il potenziale prodotto li soddisfa, i prototipi sono già in passerella, merito di una esecuzione immediata su stampo. Di lì a poco saranno anche in catalogo.
Tonelli Design è presente su vari mercati esteri:
non nascondo la curiosità di sapere dove, con quali prodotti e come cambino i gusti alle differenti latitudini. Gasperini è preciso: “Non seguiamo il mercato russo né la fascia araba: lì prediligono uno stile più marcato e composito, ricco, e con un’eco che indugia all’estetismo”.
Molto apprezzati, invece, i loro complementi in Canada e Stati Uniti e, nello specifico, a Miami dove impera la predilezione per il vetro extrachiaro oppure fumé. Qui le dimensioni contano, una condizione probabilmente psicologica considerato che là tutto è grande, esteso: i tavoli, per fare un esempio, sono spessissimo oversize.
Di tutt’altro genere la richiesta in Germania, Francia, Inghilterra dove sono preferite le finiture in legno o in materiali naturali. In queste aree sono stati introdotti prodotti, per esempio, con base in vetro e piano in ceramica. Finiture, però, che in Italia vengono percepite come ordinarie e di qualità marginale. Qui da noi il vetro fumé è tuttora quello più apprezzato.
In quei mercati la concorrenza è unicamente di “colleghi” italiani. Michele ci conferma che apporre un “made in Italy” sull’oggetto certamente aiuta, distingue, ma innalza l’aspettativa: “I consumatori oggi sono attenti, informati e osservano con attenzione non solo il tratto riconosciuto del design ma la qualità effettiva. Il prezzo è un elemento di confronto e scelta: è determinante per qualificare la produzione, per far vedere che “c’è sostanza”, che ha le basi per durare e, naturalmente, seleziona la clientela. D’altronde certe lavorazioni non riescono a sfidare il tempo se non poggiano su qualità dei materiali e processi”.
La dimostrazione è sotto i loro occhi quotidianamente: alcuni manufatti di vetro prevedono incollaggi, sagomature o trattamenti speciali (il tavolo Luz de luna, ad esempio, o la console Quiller) perciò, dicono, “o vengono eseguiti come si deve o li abbandoniamo. Noi lavoriamo solo lastre piane o con determinate forme, ad esempio per le lampade “a stampo”. Non esagero se dico che la metà dei progetti si ferma per impraticabilità di produzione, oppure per dinamiche legate ai costi”.
Eppure nessuno dei due soci se ne angustia: “quando non riusciamo nell’intento comunque ci resta la soddisfazione per aver fatto ricerca, per essere stati in territori nuovi, come gli esploratori di una volta”.
Un altro esempio mi aiuta: vittima della riduzione dello spazio di casa, il tavolo allungabile, mi raccontano, è il loro pezzo più venduto. Ultimamente però la concorrenza li propone sul mercato ad un prezzo molto vantaggioso, tuttavia il meccanismo che li fa funzionare non concede attenuanti: se non è di qualità soccombe in breve tempo inceppandosi o non garantendo la tenuta.
Come trovate i nomi dei vostri complementi? La risposta è lapidaria: chi lo disegna, lo battezza. E mi lasciano così, senza null’altro aggiungere.
E allora sfodero la domanda che mi perseguita da tempo e che periodicamente ripropongo: che cosa contraddistingue un oggetto di design da uno che non lo è?
E anche in questo caso Gasperini non concede spazio a interpretazioni: l’oggetto di design deve avere un contenuto innovativo, è attento al materiale fisico sul quale interviene, è l’alito stilistico che lo percorre creando una nuova forma che ne racchiuda la funzione con disciplina, metodo e anarchia.
Un’ultima domanda mi preme prima di lasciarli andare: quale prodotto non avete ancora realizzato, e perché? Mi rispondono solerti: “Sono ormai quasi quattro anni che immaginiamo un parterre d’oggettistica in vetro. Negli ultimi tempi ci stiamo lavorando con maggior vigore per riuscire a presentarli al più presto”.
Me li vedo, Gasperini e Bacchiocchi, muovere i passi giusti in quella danza collettiva che impegna i loro designers sul crinale della creatività, accompagnati dall’aria che percorre il litorale e s’insinua verso l’interno, quell’arietta che scompiglia la teoria di foglietti, schizzi e idee capaci di cambiare il paesaggio all’interno delle nostre case.
Me li vedo rinnovare i riti, i piaceri, gli affanni in un vertiginoso gioco di corrispondenze tra invenzione e competenza, intrappolati tra estasi e tormento, in un copione punteggiato, alla fine, dalle ultime novità che, da Pesaro, non vedono l’ora di mostrare al mondo.
s f o g l i a l a g a l l e r i a
a cura di
RICCARDO E. GRASSI
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