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Design

Una settimana da Salone

a cura di Luigi Trezzi

Il designer Luigi Trezzi dello studio brianzolo Seveso&Trezzi ci racconta le sue impressioni sulla 61esima edizione del Salone del Mobile.

Eccomi qui, con l’acido lattico ancora nelle gambe dopo una settimana di camminate chilometriche fra Rho-Fiera e Milano-City, a tirare le somme del Salone Anno1°d.C., dove d.C. sta per dopo Covid.
Il primo Salone no-mask, il primo riaperto al mondo globale e che ha visto il ritorno in massa dei visitatori cinesi (da 3 anni ansiosi di ritornare qui, più che in veste di compratori, per capire come direzionare le loro stesse aziende).
Delle 307.000 presenze a Rho-Fiera, secondo i dati ufficiali, pare che proprio i Cinesi siano stati la maggior rappresentanza seguiti, Europei a parte, da Stati Uniti, India e Brasile.

Per il centro città la solita invasione.

Insomma, i numeri, in graduale riavvicinamento ai livelli pre-covid, hanno soddisfatto.

E i prodotti, gli stands, le installazioni? Cosa lascia questo Salone?
Se c’era chi metteva in conto il ritorno a un’etica del Design a una neo-sobrietà dopo che la pandemia aveva rimesso in discussione la scala dei valori, questi sono stati smentiti.

Nihil sub soli novi. Tutto è ripartito da dove si era rimasti.
Il mondo del Luxury continua a fare la parte del leone con stands (bellissimi) paragonabili a vere e proprie ville, alcune enormi, con finiture e dettagli high-end non certo da strutture provvisorie.

Il Dna del “Luxury” si è comunque modificato, distanziandosi ulteriormente dal “Classico”.
Il segno è tornato moderno, con qualche sconfinamento ancora nel Deco’.

Le forme semplici sono rese preziose unicamente dai materiali, che diventano l’elemento decorativo e caratterizzante del prodotto: marmi da geografie lontane e dalla struttura elaborata, legni combinati, metalli che riproducono ogni possibile finitura, pelli e cuoi lavorati che fino a ieri finivano solo sulle borse, tessuti a grana sempre più over.
È però un “Luxury” di secondo livello: tutto luccica meno, tutto è meno rumoroso ed esibito.

Adesso la ricchezza non si urla, si sussurra.

Ciò che si può rimproverare a queste aziende è di sperimentare poco sui prodotti, di alzare appena l’asticella rispetto all’anno prima e di essere più interessate al mood in cui sono inseriti i prodotti che ai prodotti stessi.
Il “Classico” risulta, invece, il caro estinto.
Complice l’assenza dei compratori dell’Est o l’avvicendamento generazionale, il “Classico” sembra uscito dai radar tant’è che per arginare la crisi già da qualche anno le aziende di questo settore hanno creato un proprio brand che interpreta il moderno in chiave classica o, se si vuole, viceversa.
Per tante aziende medio-piccole o di complementi è invece evidente il tentativo di proporre qualcosa di nuovo, molto colorato, vocazione giovani: aria fresca!
In tutte le aziende, main stream e non, è comunque contemplato un accenno al “green”.
Sembra ormai diventato un obbligo, anche se ovviamente non basta collocare grosse piante o tappeti erbosi negli stand per diventare “green”.
Su questi tappeti erbosi abbiamo visto anche tanto outdoor.
Sulla scia delle aziende leader della casa, che da qualche anno propongono un proprio outdoor, anche le medio-piccole si sono allineate.
Ragioni di mercato in primis (offerta completa del catalogo) ma questo è stato reso possibile dai tessuti e dalle schiume di ultima generazione.

Il confine tra il divano in salotto e quello in giardino, sotto pioggia e sole, è quasi annullato.

Cosa più innovativa e che ha incontrato molto favore nel pubblico il layout “democratico” di EUROLUCE: un percorso a serpentina su cui affacciavano gli stand aperti delle aziende con l’intenzione di non penalizzarne/favorirne alcuna.
L’opposto di quel che capita nel tradizionale schema a griglia delle fiere, che crea inevitabili gerarchie.
E riguardo ai prodotti, abbiamo visto la “Luce” declinata in un’infinità di modi: forme mutuate dalla natura, organiche, con materiali naturali fino al bambù e al rattan.
Sempre con l’idea che la “luce” non serve solo a far luce ma a creare situazioni, a influenzare le nostre percezioni e il nostro umore.

E in ultimo il Fuorisalone.

L’offerta è ogni anno sempre più ampia: o la trasformano da Design Week a Design Month o non ce la si fa a starci dietro, anche perché le code sono il peggior nemico del tempo che si ha a disposizione.
Installazioni e location sempre di alto livello, da perderci la testa.
Tiriamo le fila.
Si può dire che si stia consolidando sempre di più il doppio binario Rho-Fiera /Fuorisalone: due mondi interconnessi ma paralleli.
Il primo è il main stream nonché il luogo specifico per gli addetti ai lavori, dove si fanno le vendite.
Il secondo un luogo con una vocazione più culturale e sperimentale, aperta a tutti coloro che sono interessati al Design o solo curiosi di cogliere l’evoluzione del gusto in atto.

E ogni anno dice che il “popolo del Design” è sempre più vasto.

Arrivederci al 2024.


s f o g l i a l a g a l l e r i a


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