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Design,  Interni

Le relazioni (lontane)… vicine!

Il significato psico-relazionale della suddivisione degli spazi nella casa.

Capire il rapporto che abbiamo con gli spazi di casa nostra è un ottimo punto di partenza per comprendere i cambiamenti a cui assistiamo, dentro e fuori di noi.
In questo percorso di scoperta un suggerimento ci viene dato anche dall’architetto e scrittore spagnolo Andrès Jacque: egli sostiene che occorra andare oltre la separazione degli spazi, ci sollecita un superamento degli ambienti domestici come li abbiamo sempre visti ed adoperati. Per esempio di non ancorarci alla tradizionale divisione della casa tra “giorno e notte”, come pure di allargare lo sguardo e considerare la città in senso ampio, non più soggetta alla cosiddetta “zonizzazione”.
Nel suo progetto del 2019 “Run Run Run”, un caffè in un quartiere madrileno concepito per il ristoro di chi pratica la corsa, Jaque propone una sorta di fattoria-urbana, una “casa” dotata di giardino pensile in cui le varie attività tipiche di un ambiente domestico, solitamente separate, sono qui invece sovrapposte e spinte al limite. Un esempio per tutti è “l’area docce” lasciata a vista, separata solo da una parete in vetro, quindi completamente trasparente verso gli avventori e confinante col grande tavolo da pranzo: non più separazione, ma (originale e tanto anticonformista) occasione di incontro.

Anche Emanuele Coccia sembra allinearsi col pensiero di Andrès Jaque: egli infatti propone nel suo ultimo libro (Filosofia della casa. Lo spazio domestico e la felicità – Einaudi) un approccio relazionale con i vari ambienti abitativi:

“…se la casa del passato è stata una macchina della distinzione, nel futuro dovrà diventare la disciplina collettiva della mescolanza” …

Coccia sostiene che la forma delle case è data dalla manipolazione del mondo, che affonda le sue radici nella storia e nella cultura.
Noi oggi viviamo ancora in queste case, talvolta vecchie e certamente pensate per accogliere sistemi familiari probabilmente oramai obsoleti, famiglie che spesso troviamo composte da uno o due membri, quindi lontane dai nuclei originari pluripersonali cui eravamo abituati.

Per secoli la casa è stata lo spazio in cui si tornava, dopo che la vita si svolgeva in “spazi altri”:

luoghi di lavoro, aree pubbliche cittadine, centri commerciali, ecc. . Inizialmente con la TV e, progressivamente, con internet, i vari social e tutta questa vita relazionale costruita sull’etere, è il mondo “altro” a fare ingresso nella casa. È stata proprio la rivoluzione digitale ad obbligarci a ridefinire gli spazi in cui viviamo.

Eravamo abituati a stanze “chiuse”, protette dalla privacy, ma mai come ora infinitamente (drammaticamente?) aperte al mondo.

Sempre Coccia invita a riflettere sui motivi per i quali rimaniamo pervicacemente aggrappati all’interno di certe case e relazioni: l’Autore ci induce a chiederci se ne siamo consapevoli oppure, come invece spesso accade, lo ignoriamo.Abitiamo case già pronte, preparate da altri e solo successivamente cerchiamo di comprendere il significato che hanno per noi. Case geometricamente e architettonicamente perfette, ma nelle quali inizialmente si fatica ad abitarci perché lo spazio sembra “astratto”: solo vivendoci dentro, quotidianamente, può prendere forma, assumere significato e valore per noi.

La casa è il laboratorio alchemico nel quale avvengono trasformazioni importanti.

Non sono solo i singoli elementi a determinare il risultato, ma ciò che fa la differenza è l’interazione, la mescolanza degli ingredienti. Si tratta di un processo dinamico e in continua evoluzione.
Coccia fa notare come i social media siano stati immaginati come spazi domestici (room) ma non genealogici, che hanno moltiplicato il numero dei coinquilini e che il nostro compito sarebbe quello di liberarci da questa schizofrenia che ci porta, da una parte, a vivere in ambienti isolati e limitati e, dall’altra, in luoghi digitali condivisi con una pluralità di persone (troppe?). È sempre la via di mezzo quella che si auspica.
Quante volte abbiamo fatto sogni in cui ci trovavamo nella casa che abitavamo da bambini? E quanti di noi ancora vivono in quelle case?
L’abitazione, comunque sia strutturata, rappresenta una parte estremamente importante della nostra memoria personale.
C’è una copiosa letteratura al riguardo che dimostra quanto la disposizione delle stanze, la posizione della cucina, l’alternanza di spazi aperti e chiusi, ecc.  rappresentino un ambito di disvelamento della vita coniugale e familiare.

La ristrutturazione e la ridefinizione degli spazi ci racconta di cambiamenti non solo nelle persone, ma anche tra le persone, negli assetti: evoluzioni e bisogni che, nel frattempo, sono anche radicalmente mutati.


Un breve excursus storico di come la struttura fisica della casa sia cambiata nel corso del tempo, dove la sala da pranzo occupava una posizione centrale rispetto alla vita della famiglia, dove la camera da letto dei genitori era pressoché inviolabile per chissà quale motivo, ecc.,  ci permette di notare come anche le relazioni all’interno delle quattro mura siano cambiate nei loro assetti di base.
Le “nuove” case hanno stanze chiuse, non interagenti, zone separate: il reparto notte che conserva gli spazi chiusi e la zona giorno aperta verso “l’esterno”, da dove si entra direttamente per raggiungere il cuore della casa, della sua socialità e intimità.

Le case di oggi ci appaiono forse un po’ troppo razionali, hanno probabilmente perso i connotati della ritualità, le vediamo solo “funzionali”.
Il tavolo del salotto deve essere in grado di accogliere gli ospiti in maniera ben organizzata, salvo accorgersi che nelle travolgenti attività quotidiane i componenti della famiglia fatichino a “ritrovarsi” e cenare tutti insieme.

Infine, la struttura delle case moderne, già di per sé, è volta a smussare i rapporti di potere e a facilitare le dinamiche delle relazioni. Ma siamo ancora in grado di coglierne i valori?
Pensiamo per un attimo ad un passato non molto lontano, e per alcuni ancora presente, quello del lockdown e dello smartworking …

Quanti hanno potuto vivere la propria casa in linea con i propri bisogni, quanti hanno potuto scoprire il valore e i benefici e quanti, invece, hanno subito convivenze imposte e condizioni restrittive?

Recuperare la ritualità negli spazi dedicati ad essa può aiutare a fare “casa”. Ora più che mai dovremmo essere consapevoli dell’importanza delle nostre abitazioni e della prossemica tra gli spazi, un modo per riconquistare un pezzo di noi.


s f o g l i a l a g a l l e r i a


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