C’è molto di me (sotto il coperchio)
Viaggio sentimentale in un luogo di conservazione
Visioni, presagi, intuizioni: indovinare il futuro è una pretesa vana eppur intrigante e irrinunciabile per il genere umano.
Dunque, chi poteva immaginare che quest’oggetto trafiggesse i decenni e si conficcasse timido, educato e in splendida forma nella nostra quotidianità per tutto questo tempo?
“Schiscèta” è il suo nome d’arte, con una sola “t” e la pronuncia con la “e” aperta, nome ormai conosciuto (e oggetto certamente adoperato) in quasi ogni italiana latitudine. In verità, il termine è dialettale, potremmo dire esclusivamente lombardo, se non addirittura del milanese. Tuttavia la “globalizzazione” ci ha messo del suo, esportando il nome e l’utilità, incidendo su vecchie consuetudini e nuovi comportamenti.
E’ certo che ogni regione ha impresso il suo modo di dire, come per il piemontese che lo fa diventare “barachìn” (con la pronuncia che accenta il finale), eppure la schiscetta sembra ormai entrata in una sorta di vulgata nazionale. Il pragmatismo di chi preparava quest’ “attrezzo”, solitamente le mogli o le madri, portava a condensare il tutto in poco spazio, per facilità di trasporto, perciò doveva schiacciare (schiscià) le vivande al suo interno.
Potremmo anche fare appello all’italiano indicandola come gavetta, o portavivande, o marmitta, o pietanziera (Italo Calvino, in “Marcovaldo”) ma schiscetta contiene un mondo, prima ancora che il cibo: è interessante ciò che rappresenta, sintetizza, evoca. E’ il pasto consumato sul luogo di lavoro. Per estensione, la pausa del mezzogiorno degli operai e lavoratori, ma oggi anche di studenti e impiegati.
Basta sfiorare l’argomento, lanciare una domanda, sollecitare un ricordo ed in ognuno di noi riaffiora quel “luogo di conservazione” che protegge i nostri cibi da asporto: o perché lo abbiamo utilizzato, o perché qualcuno intorno a noi l’ha fatto.
E’ il delivery di noi stessi in questi tempi accelerati e distratti.
Ebbene, che fine ha fatto quest’oggetto?
Nessuna fine, è ancora oggi sulla cresta dell’onda. Credevamo di averlo lasciato dietro di noi, chiuso nel ripostiglio della Storia, invece la sua funzionalità ha trafitto i decenni se solo pensiamo che è stata ideata e prodotta per questo preciso scopo nel 1952 dai fratelli Mario e Renato Caimi con la loro Pentolux, azienda familiare oggi diventata Caimi Brevetti s.p.a.
Un’intuizione che si è trasformata in un oggetto indispensabile e, in qualche modo, “di culto”, rappresentativo del nostro boom economico postbellico.
Il modello “La 2000” è stato anche esposto in sedi museali.
Sono cambiati i tempi, eppure il logorio della vita moderna è rimasto intatto nella sua incombenza: nel frattempo, nelle nostre case il living ha sostituito il salotto, ci esibiamo con amici e parenti in strepitosi show cooking sul piano cottura, e magari in un loft, manovriamo da remoto elettrodomestici e antifurto con lo smartphone, deleghiamo le occasioni di dating ad efficienti siti d’incontri e ce ne andiamo in vacanza con una smart box.
In tale panorama lessicale era possibile che la Nostra rimanesse in disparte, impermeabile? Certamente no. Trascinata dagli eventi, pure la schiscetta ha dovuto allinearsi ai nuovi comandamenti: giustamente è arrivata la lunchbox. What else?
Chi, per il suo pranzo, oggi non volesse “strappare lungo i bordi” di una confezione in busta, questa rimane la soluzione.
E, per strizzare l’occhio alle nuove tendenze, la schiscetta ha smesso il vecchio abito, principalmente in alluminio o metallo, per indossare quello più glamour in polipropilene. Riciclabile, naturalmente. Come prescrive il ricettario del solerte, attualissimo, green marketing.
Ecco una delle novità: Bauletto. E’ la proposta per il nuovo modo d’intendere la pietanziera e Blim+ è il brand dell’azienda vicentina Veca che lo realizza insieme con altri accessori per la cucina dal design al passo coi tempi, firmato da Raffaello Galiotto.
Una volta bastava la praticità, nell’era digitale si deve aggiungere la moltitudine di caratteristiche che Bauletto ha interpretato anticipando i nostri desideri.
Non è più, infatti, questione di problem solving, cioè un efficiente contenitore per il pranzo fuori casa, ma la lunchbox (femminile, maschile?) mette in scena il sense making, la rappresentazione di come siamo e cosa mangiamo. Che, in più, dà l’abbrivio alle sei colorazioni del set: dal flamingo pink al carbon black.
Le questioni pratiche vengono risolte da due capienti vaschette, realizzate come i letti a castello, una alta e una bassa, ben separate, anche per vivande più liquide; il coperchio è ovviamente ermetico e tutto il set è completato dalle posate. L’estetica aggiunge un altro pregio: come recita la descrizione dell’Azienda, Bauletto e vaschette permettono, una volta aperti, una “mise en place” del menu quotidiano che, con gusto e ironia, non t’aspetti da un portavivande.
A giudicare dalle caratteristiche tecniche, sembra che Bauletto sia stato progettato per gli astronauti: un abitacolo dai bordi arrotondati per facilitare la pulizia; la valvola di sfiato che migliora la resa nel microonde; il coperchio, provvisto di foro per il cavo di ricarica o per le cuffie, può trasformarsi in curioso supporto per il cellulare; le dimensioni (small o large) soddisfano il pasto frugale o necessità energetiche più strutturate.
Una volta la gavetta, o chi per lei, era lo strumento adeguato per risolvere gli appetiti di metà giornata: li ricordiamo soddisfatti nei cantieri edili, nelle fabbriche, nei luoghi dove i lavori erano più pesanti. Oggi la schiscetta campeggia sulla scrivania degli impiegati o negli spazi comuni dei moderni uffici: un tempo, questo, che ha ridimensionato il modo di consumare il cibo e la lunchbox ne raffigura, forse addirittura simboleggia, la virtù del cambiamento.
Pensando a com’era, e a com’è diventata, chi eravamo e come siamo, il ricordo commuove e diverte, si mimetizza nei nuovi costumi; lei rimane se stessa ma ammicca, vezzosa e indipendente, alle mode, alle forme e ai colori in voga.
E’ ancora protagonista ma il contenuto passa per una rivoluzione del gusto, dei sapori, degli alimenti e, non ultimo, per l’attenzione alla salute. Quello che mangiamo lascia le nostre impronte: ci asseconda, ci rappresenta, parla di noi.
La pietanziera non avvolge più quel pasto ricco di calorie (e forse di colesterolo) che avrebbe dispensato energie fino al termine della giornata. Oggi il suo contenuto è diventato cosmopolita: alimenti che appartengono alle nostre tradizioni sono affiancati (e spesso sostituiti) a verdure, bistecca vegetale, curcuma e fibre a più non posso. Un’alimentazione bilanciata, proteica, senza lipidi; un racconto terapeutico che fa bene alla mente, e poi al corpo.
Sembra che quest’involucro, riassunto in pochi centimetri cubici, sia capace di tracciare un identikit della personalità; il connotato estetico rappresentato da forma e colori è un nuovo valore, effimero quanto si voglia, eppure così centrale nelle nostre scelte contemporanee. Non indulge al desiderio di ostentazione, anzi. Mostra la voglia di prendersi cura di sé e di dimostrare sensibilità verso l’ambiente: una scelta di tal genere comunica “una differenza d’approccio” nella modalità di consumare il cibo al lavoro che, peraltro, si manifesta anche con tag sui vari social.
La nuova versione della gavetta conferma perciò anche il “contenuto simbolico e valoriale” tipico di questi anni recenti.
La schiscetta, tra l’altro, si dimostra “trasversale”. Non nel senso letterale del termine, beninteso, ma del censo (o per dirla col marketing, del segmento): ha curiosamente conquistato adepti tutt’altro che omogenei tra loro, sia per provenienza geografica, che per estrazione sociale, che per interessi personali o ruoli lavorativi. Vive una nuova giovinezza e gli ammiratori non le mancano.
Gli interessati sono accomunati dalla condivisa “aspettativa di valore” che essa rappresenta per loro.
E’ il nuovo paradigma del pranzo di lavoro: rispetta l’ambiente (non ci sono involucri da buttare); il menu è personalizzato e curato (ce lo siamo preparato noi stessi); intercetta il contemporaneo trend della condivisione e della convivialità proprie delle community.
Da non dimenticare, poi, che l’abitudine al pranzo home made delivery è anche una forma di risparmio, condizione oggi tutt’altro che marginale.
Quindi conserviamoci (ermeticamente) in salute: l’affidabile schiscetta continua a fare il suo mestiere, ci sorride sorniona e si lascia chiamare lunchbox.
s f o g l i a l a g a l l e r i a
testo
Riccardo E. Grassi
immagini di repertorio
Caimi Brevetti
U.P.O
Università degli Studi del
Piemonte Orientale
guest companies
Caimi Brevetti
Blim+
Alessi