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Design,  Interviste

Bianca Tresoldi: il mondo sotto un’altra luce.

È la “sensibilità” la qualità più importante per un lighting designer.

Bianca Tresoldi portraitAncora prima che il lighting designer facesse capolino come soggetto professionale autonomo nel campo della progettazione a fianco delle ben più consolidate figure di architetti e ingegneri, Bianca Tresoldi esercitava il suo lavoro “manipolando” con passione quella materia sensibile e impalpabile, qual è la luce.
Sarà banale dirlo, ma senza luce non si può vivere. Meno scontato, invece, è affermare che un buon progetto di luce ha un’enorme influenza sulla qualità della vita perché questa energia interagisce capillarmente con i sistemi biologici degli esseri viventi e conseguentemente con quelli psicologici.
Se tutto ciò è facilmente intuibile nell’ambito domestico è altrettanto percettibilmente irrinunciabile anche all’interno degli ambienti di lavoro, negli spazi espositivi e in quelli commerciali: la luce naturale o artificiale che sia, fa la differenza; è l’elemento essenziale di una buona progettazione architettonica e pertanto, non può essere lasciato nel vago.
La luce è il fattore che evidenzia lo spazio, che viene percepito in funzione di come l’illuminazione vi si adagia, creando effetti ed atmosfere.

E’ una professione, quella del lighting designer, che richiede un costante aggiornamento per stare al passo con la rapida evoluzione tecnologica: perché non si tratta solo di “formalizzare” scelte estetiche che recepiscano determinati sistemi illuminanti piuttosto che altri, progettare la luce significa conoscere questa energia nei suoi sfaccettati aspetti fisici e tecnici, occorre saperla gestire, il che implica una ricerca costante circa le migliori soluzioni, anche lontane dal consueto, per le istanze che di volta in volta il progetto architettonico pone.
Conoscere la luce e i suoi effetti significa lanciare uno sguardo diverso sulla realtà circostante, vedere cose invisibili e inaspettate, farsi carico anche di una sorta di obbligo sociale per far capire le potenzialità meravigliose di questo strumento in grado di migliorare la qualità della vita in quella che è la casa di tutti, cioè la città.
Questo è quello che ci ha raccontato Bianca Tresoldi. E non è tutto.

Annamaria Cassani.
Nel docu-film “Renzo Piano – L’architetto della luce” (2018), l’archistar definisce la luce naturale come “il materiale più importante del costruire”. Nel 1957, quando ancora l’illuminotecnica non esisteva come disciplina, dalle pagine del suo libro “Amare l’architettura. L’architettura è un cristallo”, Gio Ponti esalta la luce artificiale per la sua capacità di produrre effetti visivi e percettivi impensabili prima negli scenari architettonici notturni. Ci parli del tuo personale rapporto con la luce?

Bianca Tresoldi
Il mio rapporto con la luce è ovviamente vitale, ma prima di ogni altra cosa è importante per me “sapere dove sono”. Mi spiego: in quanto individui non possiamo esistere senza uno spazio che ci contenga e non solo per evidenti motivi funzionali: lo spazio è quel luogo in cui cerchiamo la conferma di noi stessi, in cui ci emozioniamo quando lo riconosciamo nella sua bellezza; è dove siamo, in ogni momento, che avviene raccontata la nostra vita. Spazio e luce sono inscindibili.
La mia storia è fatta di spazi a cui ho dato luce: un percorso guidato dalla funzionalità, legato all’estetica, in cui gli oggetti interagiscono con le persone.
Mi piace parlare della luce come “un’espressione metabolica dello spazio” perché attiva una serie di complesse reazioni sugli esseri viventi che ritengo sia importantissimo comprendere. La luce non può essere un elemento vago nella nostra vita, la luce è quell’elemento impalpabile che permette alla materia di rendersi visibile ai nostri occhi e che scatena, in base ai personali stati d’animo, cultura e sensibilità, reazioni emotive che si traducono poi in azioni
Avete mai notato che là dove vengono messe a dimora piante sotto i lampioni capita spesso che queste germoglino in pieno inverno, in un momento in cui invece l’attività vegetativa dovrebbe essere a riposo?
E ancora lampioni urbani che illuminano le coperture dei dehors di bar o ristoranti che vengono allestiti nello spazio esterno proprio sotto di essi, vanificando di fatto la loro funzione originaria? E le gallerie autostradali eccessivamente illuminate di notte in che misura compromettono l’adattamento visivo dell’automobilista?
Sono solo tre categorie di esempi ma sufficienti per lamentare la scorretta illuminazione degli spazi pubblici che tutti noi subiamo e che porta a percepire come “brutti” i luoghi che invece potrebbero non esserlo.
Penso che ciò possa accadere per l’assenza di un coordinamento tra le varie figure professionali, dalle amministrazioni degli enti pubblici, alle aziende, ai tecnici, agli esecutori e ai progettisti, che spesso percorrono sentieri che non si incrociano.

 

A.C.
Voglio agganciarmi all’ultima parte della tua risposta per chiederti se pensi che l’illuminazione urbana goda della necessaria attenzione da parte del mondo del design e da parte delle stesse amministrazioni. Di fatto la città è la casa di tutti ed è innegabile che lo spazio urbano, oltre allo spazio domestico, sia importante per la qualità del vivere.

B.T.
L’attenzione nei confronti del progetto di illuminazione urbana dipende in gran parte dalla curiosità e dalla sensibilità dei singoli amministratori. La città è il nostro secondo salotto e come tale dovrebbe essere trattato. Penso che nel settore dell’illuminazione urbana si stia procedendo a due velocità diverse e che sia compito di noi lighting designers tenere vivo un costante dialogo con le amministrazioni su questi argomenti che sono un po’ distanti, ma non così lontani, dalle problematiche che quotidianamente devono affrontare. Mi spiego: dati alla mano, è sempre più in aumento la popolazione che vive nelle aree urbane ed è già da qualche anno che anche in Italia, sulla scorta di quello che è già avvenuto in altri Paesi, si sta diffondendo il concetto di “economia notturna”, un nuovo sistema in cui i ritmi di tutte le attività sono scanditi più fluidamente nel succedersi delle 24 ore e non unicamente nelle ore diurne.
E’ chiaro che tutto questo ha un impatto sulla città che dovrà, obbligatoriamente, farsi carico di rispondere con progetti mirati di illuminazione pubblica -anche solo e semplicemente per una questione di sicurezza notturna- ma in generale anche con nuovi modelli di pianificazione a supporto di scelte sostenibili capaci di adattarsi alle diverse scale della dimensione urbana. È corretto, mi chiedo, che il progetto di illuminazione delle città si basi sulla mera sostituzione degli elementi illuminanti la cui collocazione è stata pensata più di 50 anni fa, riqualificando l’impianto solo dal punto di vista energetico? Nel frattempo, il layout della maggior parte dei contesti urbani si è modificato e le città hanno ereditato nuovi fenomeni sociali, quali l’immigrazione, l’invecchiamento della popolazione, un mercato del lavoro profondamente cambiato e non ultimo il vandalismo notturno.
Cosa possiamo fare? Pensare ad una illuminazione della città che si modifichi adeguandosi ai cambiamenti urbani e agli stili di vita, ma non solo, occorre considerare il territorio nella sua unitarietà per evitare che tratti omogenei di paesaggio subiscano interventi diversi semplicemente perché appartenenti a Comuni diversi oppure che palazzi o case private emergono più di alcuni edifici pubblici, facendo perdere la leggibilità notturna del territorio. È necessario che le amministrazioni comunali capiscano l’importanza dei masterplan, anche per la luce, documento di indirizzo strategico per la programmazione di un territorio.

A.C.
Qual è il percorso formativo che deve seguire un lighting designer?

B.T
In Italia non esiste una laurea magistrale in lighting design, ma sono attivi solo corsi di specializzazione post diploma e post laurea.
Mi sento tuttavia di dire che il percorso formativo è in realtà più ampio; chi intende intraprendere questo studio deve sapere che per tutto il proprio percorso lavorativo dovrà costantemente studiare e approfondire in autonomia vari temi e materie ed è fondamentale avere una innata curiosità accompagnata da una costante sperimentazione sul campo a supporto. La luce va vista, sentita sulla propria pelle, è un materiale architettonico troppo sensibile che cambia in relazione alla superficie che illumina, creando di volta in volta reazioni diverse sugli esseri viventi. L’illuminazione, il suo controllo, la sua manipolazione, i suoi strumenti sono materie con molte variabili che vanno oltre l’aspetto visivo/funzionale/ architettonico/ambientale/energetico.
Da più di 30 anni che progetto luce per gli spazi e ancora la luce riesce a sorprendermi in molti contesti, soprattutto quando eseguo le indispensabili “prove luci”. Ricordo, quando negli anni Duemila siamo passati all’illuminazione con tecnologia LED, di essermi positivamente stupita dell’inaspettato effetto della luce sulle opere esposte nella quadreria, di cui avevo curato il progetto di illuminazione.

A.C.
Quali sono le materie fondamentali che un lighting designer deve conoscere?

B.T.
Innanzitutto, la teoria dell’illuminazione, cioè l’illuminotecnica e la fisica ottica. Occorre conoscere bene anche i processi biologici che la luce genera sulla natura. Gli animali notturni sono disorientati e molti muoiono attorno ai lampioni, l’oscurità è fondamentale anche per l’essere umano, il ritmo circadiano del nostro organismo viene spesso inibito dalla troppa luce ma esiste anche la fototerapia che cura una forma di depressione, ci sarebbe molto da dire al riguardo. La storia narra del continuo adattamento delle specie viventi alla radiazione elettromagnetica, la capacità dell’uomo di modificare il paesaggio aumenta di pari passo con la tecnologia e occorre comprendere bene prima di agire.
Il lighting designer deve inoltre conoscere i fondamenti delle discipline che sono di base per un architetto; se non si conosce il linguaggio architettonico difficilmente si è in grado di realizzare un buon progetto di illuminazione, che è un compendio tra arte e scienza.
Il lighting designer deve avere buone capacità interpersonali e attitudine al lavoro di gruppo con professionisti di altre discipline; l’illuminotecnica non è solo una formula matematica.
Durante il progetto per una struttura d’accoglienza per donne che avevano subito violenza, il confronto con psicologi e sociologi mi ha portato ad utilizzare, per gli ambienti comuni un sistema Tunable White
che consente la regolazione della temperatura di colore della sorgente luminosa, permettendo di bilanciare i bianchi della luce nell’arco della giornata. Da una luce bianca vitalizzante fredda al mattino, si passava ad una luce calda serale che accoglie le ospiti al rientro dalle attività nei campi, previste dal Centro. L’intento è stato quello di far sì che lo studio dell’illuminazione artificiale potesse dare, in parte, un contributo al ripristino della tranquillità mentale di queste donne. 

A.C.
Quali software specifici richiede il tuo lavoro?

B.T.
Oltre ai classici programmi CAD e di render, necessari per raccontare il progetto, nel campo dell’illuminotecnica la tecnologia ha messo a disposizione software specifici quali DIALux e Relux che eseguono velocemente quei calcoli che un tempo avremmo svolto a mano, permettendo di avere una prima verifica della correttezza delle quantità in gioco.
I software funzionano molto bene quando si tratta di fare un progetto di luce per un ambiente contemporaneo ma, se dovessimo illuminare una cattedrale gotica o una cappella affrescata, il discorso cambia: per quanti dati, parametri dimensionali, finiture murarie, colori, ecc.   possiamo inserire nel computer, l’effetto reale di quanto si è progettato potremo averlo soltanto andando sul posto con un campione degli elementi illuminanti scelti, osservando la risposta delle superfici illuminate e in seguito forse correggere parte di progetto.

A.C.
Quali sono le fasi iniziali che obbligatoriamente devi percorrere nell’affrontare un progetto, pubblico o privato, di lighting design? Mi riferisco a prassi o procedure che si sono consolidate con l’esperienza a prescindere dagli obblighi normativi.

B.T.
Innanzitutto, si deve avere ben chiara la motivazione che è alla base del lavoro richiesto, senza questa non si può iniziare un progetto di luce.
Per diversi anni ho curato l’illuminazione degli eventi e delle campagne vendita per Calvin Klein Europa. L’obiettivo del cliente era vendere i prodotti del marchio statunitense ai buyer europei, sbagliare il progetto di luce significava una perdita per l’azienda.
Una volta chiarite le motivazioni, come in qualsiasi ambito progettuale, si procede con uno studio di fattibilità che comporta un’analisi costi/benefici.
Dall’esito positivo di questa prima fase fa seguito la progettazione vera e propria e la pianificazione, che prevedono lo sviluppo nei minimi dettagli di tutte le risorse coinvolte nel progetto. Significa sostanzialmente stabilire “chi fa cosa” e le figure coinvolte sono il cliente, l’architetto e/o l’ingegnere nel loro ruolo di capo commessa, l’ingegnere elettrico, l’impiantista,…
Una fase molto importante, che non può essere trascurata proprio per la sensibilità della materia che stiamo trattando, è quella di monitoraggio dei lavori, il cantiere diventa talvolta teatro di imprevisti o di variazioni in corso d’opera su cui occorre intervenire tempestivamente per evitare di vanificare quegli effetti previsti nel progetto di luce originario.
La direzione artistica a chiusura del progetto non sempre consiste nell’accendere le luci e settare le scenografie, bensì di verificare e modificare i cosiddetti “puntamenti”. Immaginiamo un museo, dove per ogni singola opera, occorre indirizzare il fascio luminoso di ogni apparecchio illuminante, regolando l’intensità luminosa; la variazione di un semplice grado nel posizionamento può cambiare l’effetto voluto e la lettura stessa del quadro.
All’interno di queste attività è molto importante anche la sensibilità dei singoli operatori. Il lighting designer può aver fatto un ottimo lavoro progettuale ma se poi il tecnico, che fa manutenzione su un proiettore, presta scarsa attenzione al riposizionamento si rischia di vanificare tutto il lavoro.

A.C.
Come può succedere che, talvolta, in occasione di mostre temporanee, anche prestigiose, sia presente una scorretta illuminazione, persino disturbante? Eppure accanto alla scelta del contenuto espositivo e all’allestimento il progetto di illuminazione dovrebbe essere di vitale importanza in questo ambito!

B.T.
Può capitare che l’impianto di illuminazione di una mostra temporanea sia stato ereditato da un precedente allestimento, ma in realtà penso che in generale nel nostro Paese permanga una scarsa “cultura dell’illuminazione”.
La figura del lighting designer spesso non è ritenuta indispensabile per il progetto di luce che viene troppo spesso affidato alle aziende produttrici di apparecchi illuminanti o demandata alla sensibilità dell’installatore, con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti, a cui si accennava nella domanda.
Un progetto di luce richiede tempo, analisi, approfondimenti, continui sopralluoghi e per quanto le aziende abbiano eccellenti uffici tecnici ed esperti lighting designer, non potranno mai dedicare, anche per una semplice questione di disponibilità di tempo, la medesima cura e attenzione rispetto ad un lighting designer dedicato che si assume tutte le responsabilità a lavoro concluso.
I musei dovrebbero farsi carico di un’azione coordinatrice tra le varie figure professionali nell’ottica di un lavoro di squadra, il che non significa necessariamente un incremento di costi; una progettazione, studiata su misura potrebbe ottimizzare l’impianto di illuminazione permettendo maggiore flessibilità ad eventuali mostre temporanee future nello stesso spazio. Negli ultimi anni è dilagata la moda di illuminare i quadri con i sagomatori teatrali, proiettori in grado di sagomare la luce in relazione alla geometria del quadro, personalmente penso non sia una buona scelta, certo dipende dalla tipologia dell’opera se antica o contemporanea, astratta o materica, …
Così come è eccessivo vedere le facciate di certi palazzi storici deformati dalla luce gialla, rossa, verde, blu, magenta, ciano,…. durante il periodo natalizio e non solo; la luce non è show, la luce ha tante sfumature, tra cui quella di farci vivere bene se vogliamo qualcosa di particolare, allora dobbiamo metterla nelle mani di artisti che la utilizzano per comunicare un pensiero forte.

A.C.
“Mettere la luce nelle mani degli artisti per comunicare un pensiero forte”: è quello che stai facendo con l’organizzazione del Light Festival Lago Maggiore che hai definito come “una rivoluzione estetica del quotidiano”?

B.T.
Sì! È una iniziativa che ho proposto al Comune di Lesa qualche anno fa. Il borgo, di poco più di duemila abitanti, ha visto la sua prima edizione nel 2018, da allora ne sono seguite altre due con un fermo, nel 2020, a seguito della pandemia. È un evento che coniuga i due mondi della luce, quello artistico della light art e quello tecnico del lighting designer, che dialogano insieme per il paesaggio urbano a favore della collettività.
In occasione del festival il piccolo borgo di Lesa diventa un museo a cielo aperto di opere ed installazioni a forte impatto visivo ed emozionale, realizzate da artisti di fama nazionale e internazionale della light art, a cui si affiancano altre iniziative culturali a tema che coinvolgono istituzioni ed attività del territorio. 
La prossima edizione è prevista per il 2023 e dato il grande successo di pubblico, non solo locale, l’obiettivo è costituire un’associazione o una fondazione, per poter curare meglio gli aspetti organizzativi.
Vorrei con il Light Festival provare a dare una nuova e diversa identità al Lago Maggiore creando così   un’opportunità di formazione e lavoro ai giovani che abitano nella zona, attraverso un modello di intervento sul territorio facilmente esportabile.
È forse un’utopia? No, basterebbe togliere un po’ di ruggine qua e là e premere il piede sull’acceleratore.

A.C.
È solo a partire dal 2016 che in Italia il progetto illuminotecnico è regolamentato dalla norma UNI 11630. In quali ambiti si applica e cosa prevede?

B.T.
La norma definisce i criteri di stesura del progetto illuminotecnico tanto per le opere pubbliche quanto per quelle private, sia in ambito interno che esterno (ospedali, alberghi, parchi, giardini privati, gallerie stradali, ecc.) e si applica solo al progetto di luce non a quello dell’impianto elettrico o delle strutture.
La norma ha rappresentato un grande passo avanti nel settore perché fino al 2016, gli elaborati del progetto illuminotecnico erano a discrezione del progettista. Adesso, invece, occorre fornire elaborati stesi secondo precisi criteri, a garanzia di una maggiore tutela del cliente.

A.C.
Non si può negare che l’illuminazione delle facciate, e degli esterni in generale, degli edifici storici o simbolici del contesto urbano eserciti un certo fascino perché definisce l’ambiente notturno che circonda le persone, trasmettendo emozioni e catturando interesse. Quali sono gli elementi di cui si deve tener conto nell’illuminazione in esterno delle architetture?

B.T.
Di notte la luce funziona come un evidenziatore; il paesaggio urbano è un foglio nero sopra il quale si può porre l’accento su alcuni elementi costruendo una serie di quinte scenografiche che ci permettono di vivere e leggere il territorio di notte Tutto questo è sicuramente meraviglioso, ma attenzione!
Occorre procedere attenendosi ad un masterplan generale che vede l’illuminazione urbana protagonista degli esterni, sia riferita alle parti pubbliche che private: altrimenti il rischio che si corre è quello di perdere la “leggibilità” della città nel suo complesso. Devono essere i centri nevralgici urbani a venir riconosciuti per primi e non l’edificio privato.
È un tema che riguarda soprattutto i piccoli centri urbani, nelle grandi città c’è una pianificazione più attenta sull’argomento.
Illuminare le facciate degli edifici storici significa confrontarsi con le Soprintendenze, tanto temute dai progettisti, ma unica occasione di confronto ad alti livelli.
È dal rapporto con loro che ho maturato la propensione ad accostarmi con molto rispetto all’illuminazione esterna degli edifici storico-monumentali; questo continuo dibattito con i funzionari della Soprintendenza mi permette di approfondire meglio la lettura dell’edificio oggetto di progetto sotto punti di vista diversi dal mio, evitando di cadere nella trappola di enfatizzare taluni dettagli piuttosto che altri.  L’ornato delle facciate, quali fregi, capitelli, cornici, ecc.  non sono stati creati per diventare i protagonisti ma per far parte di una equilibrata partitura dei fronti degli edifici; noi lighting designer che diritto abbiamo di deformare l’interpretazione di lettura dell’edificio?
Sai cosa mi ha detto una funzionaria della Soprintendenza milanese quando mi sono confrontata per il progetto di Palazzo Reina in via Bagutta? “L’edificio Deve essere illuminato come se fosse sotto il chiarore della luna”, sono uscita dall’ufficio con molte perplessità e solo in seguito ho compreso il significato: l’edificio di notte doveva essere percepito nella sua totalità, così com’era stato concepito nella prima metà dell’Ottocento.
La luce è un grande strumento nelle nostre mani, ovviamente non può essere l’unico mezzo per rigenerare un territorio, ma può diventare un buon motore di trasformazione ambientale, sociale ed economica, soprattutto in quelle “aree problematiche” di alcuni quartieri periferici. In diversi Paesi europei sono stati fatti progetti/studio, coinvolgendo la popolazione, in cui viene esaminato il ruolo dell’illuminazione nella vita di tutti i giorni dei cittadini che abitano quel determinato luogo, per dare un contributo alla costruzione di una migliore conoscenza sociale che possa fungere da presupposto per gli interventi di lighting designer futuri
.

A.C.
Per un cliente privato hai progettato la lampada “Lucerna” e per la piazza centrale del comune di Gozzano, paese nei pressi del Lago d’Orta, la lampada “Lanterna 2D” prodotta dall’azienda Neri spa, specializzata in arredo urbano ed illuminazione pubblica. Entrambi i tuoi progetti fanno riferimento a forme archetipiche degli elementi illuminanti quando ancora non esisteva l’energia elettrica. Approfondiamo?

B.T.
Devo fare una premessa: mi piace da sempre disegnare oggetti, bozzetto tutto, anche l’impiattamento delle pietanze che cucino per gli amici.
Vittima della mia formazione artistica, sono estremamente attratta dai modelli primitivi di rapporto forma/funzione.
Come dico nel video che presenta il progetto della Lanterna 2D, ho sempre pensato che “sottrare alla vista qualcosa è un buon modo per renderla visibile”.
Il mio progetto di lanterna nasce da un lavoro di ricerca, iniziato quasi dieci anni fa, sulla spinta di un interesse personale che mi ha portato alla realizzazione di questa lanterna urbana che si esprime in forme sottili e la cui percezione cambia a seconda del punto di vista dell’osservatore, fino a scomparire del tutto in una visione perfettamente laterale. Quello della lanterna, soprattutto nei contesti dei piccoli borghi storici, è un tema con cui un lighting designer prima o poi si deve confrontare e io ho cercato un’alternativa contemporanea ad un tema classico.
Ho tenuto il progetto per qualche tempo nel cassetto per poi estrarlo dal cilindro con l’occasione di un incarico pubblico per il Comune di Gozzano: la lanterna in stile, come mi era stata suggerita dal committente, era un’idea molto lontana nel mio concept di progetto così ho sottoposto alla Soprintendenza di Torino la Lanterna 2D e, inaspettatamente, è stata accolta ed approvata con tali parole “finalmente una lanterna che dà identità ad un luogo”. La licenza a produrla, con un iniziale patto di riservatezza, è stata affidata all’azienda Neri spa e successivamente e stata messa in commercio affiancata alle collezioni storiche di lanterne che tutti noi conosciamo e di cui l’azienda è la principale produttrice.
L’’intervento urbano nel Comune di Gozzano non è stato ancora ultimato in tutte le sue parti, ma ti assicuro che vedere la lanterna 2D di giorno nella piazza del Municipio, sembra di guardare dei disegni nel cielo, fatti dai bambini.
Lucerna è invece una lampada da terra di grandi dimensioni, nasce per giardini “residenziali” e per hotel. Il modello si basa sull’incastro di elementi dalla semplice forma a cubo, in metallo e vetro: anche qui la mia estrazione artistica mi ha suggerito linee primordiali e razionali.

A.C.
Quanto spazio ha la creatività individuale in un progetto di lighting design?

B.T.
Dipende da quanto si vuole premere sull’acceleratore e molto dipende dalla tipologia di progetto che stai affrontando.
Occorre tuttavia specificare cosa si intende per creatività, non sempre essere creativo coincide con l’espressione di qualcosa che non si è mai visto.  Spesso la creatività, nel nostro settore, è trovare diverse soluzioni allo stesso problema da risolvere, ragionando in modo flessibile per trovare risposte insolite risolutive. Tutto dipende da quanto personale desiderio si ha di sperimentare e mettersi in discussione.

A.C.
Una curiosità sulla tua vita privata: che cosa ti ha spinto ad un insolito trasferimento da Milano alle sponde del Lago Maggiore? Mi ha colpito molto il pensiero che hai dedicato a Blue, la tua cagnolina, dalle pagine del sito web.

B.T.
Frequentare le località del Lago Maggiore era già una tradizione di famiglia: vivere e lavorare a Milano offre grandi opportunità ma contemporaneamente fa nascere il desiderio di evasione soprattutto nei fine settimana. Ci siamo stabiliti per motivi logistici famigliari a Meina e Blue è responsabile del trasferimento dello studio a Lesa, dove esercito la mia attività professionale, cercavo per lei uno spazio aperto che ho trovato qui, in un ufficio dotato di ampio terrazzo e una bellissima strada nel bosco proprio dietro lo studio. Blue è stata per molti anni la mascotte dello Studio, è venuta a mancare a gennaio lasciando un grande vuoto. Chi ha un cane sa perfettamente cosa si prova perché questi animali diventano dei veri e propri compagni di vita.


s f o g l i a l a g a l l e r i a

a cura di
Annamaria Cassani
guest
BIANCA TRESOLDI
lighting designer
Via Portici 14, 28040 Lesa (NO)
📞 +39 0322 76341
✉️ info@tresoldilight.com
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archivio Bianca Tresoldi


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