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Design,  Interviste

Alessandro Marchelli: il design organico

Mettersi sempre in gioco e spostare il traguardo ogni volta più in alto: è questo l’approccio al progetto dell’interior designer piemontese.

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Alessandro Marchelli

Lasciate ogni speranza, Voi, amanti dello sviluppo lineare e degli angoli retti, delle prospettive centrali, delle simmetrie, del less is more, di minimalismo e riduzionismo: aprire la porta per entrare nel mondo di Alessandro Marchelli significa abbandonare sul pianerottolo questi concetti per farsi abbracciare da un “design liquido, fluido ed avvolgente” perché “la sua progettazione modella, plasma ogni singola forma, cercando continuamente lo stupore nel mondo contemporaneo”.
Un design sinestetico? Lasciamo la domanda aperta, ma noi ne siamo convinti perché questa è la sensazione che ci ha pervaso vedendo i suoi lavori: le forme morbide, sinuose modellate con la vetroresina – a tratti così avvolgenti da suggerire una protezione quasi “materna” della materia – che caratterizzano gli interior firmati da Marchelli richiamano idealmente sapori, sensazioni tattili e fragranze disperse nell’aria, rivelando la spiccata capacità di orchestrare i mutevoli registri sensoriali.
Alessandro Marchelli, classe 1964 vive e lavora a Nizza Monferrato città natale cui è molto legato e a cui ha dedicato vari progetti, non ultimo quello di un hotel diffuso basato sulla valorizzazione del contesto urbano e delle tipicità locali, anche architettoniche.

Formatosi presso l’Académie d’Architecture Interieure & de Design (AIA) e attraverso il Corso di Alta Formazione in New Entertainment Design presso il Poli.Design di Milano, Marchelli fonda nel 1990 lo Studio “AMD Alessandro Marchelli Design, sensory interior architecture”.
Pluripremiato, si occupa di architettura di interni, di product design e di allestimenti legati all’ambiente domestico e al contract.

Essere legato al territorio può essere un confine geografico che aiuta, limita o caratterizza la creatività? Al di là di tutto, c’è un altro luogo preferito? La risposta non si fa attendere: “il mondo” rivela convinto.

Annamaria Cassani
Alessandro, nelle note biografiche presenti sul tuo sito web si legge di un “estro non convenzionale per natura, curioso di quello che lo circonda e affamato di sapere”: una caratteristica, sembra di capire, che ti segue sin dall’infanzia. Che ricordo hai di quel periodo e quali sono stati i segnali che, con una lettura a posteriori, si può dire che abbiano prefigurato la tua carriera?

Alessandro Marchelli
Sono cresciuto in mezzo ai tecnigrafi. Mio papà ha iniziato ad esercitare la professione di geometra nel periodo del boom edilizio e il suo studio si trovava sotto casa: quando ero libero dagli impegni scolastici, trascorrevo il mio tempo lì, tra fogli da lucido, chine, matite, planimetrie su cui scarabocchiavo i miei primi progetti. Mi divertivo moltissimo a spostare le “tramezze” rappresentate su quei disegni, sotto lo sguardo critico di mio papà, e ad un certo punto mi sono accorto che il gioco si era trasformato in una vera e propria passione per questo mestiere che, ancora oggi, fatico a definire “lavoro”. È un’esigenza primaria, un fatto naturale come il respiro: non riesco a stare senza disegnare, senza restituire su qualsiasi supporto che mi capiti sottomano le idee che arrivano, spesso all’improvviso, e che lascio lì a sedimentare per poi riappropriarmene al momento opportuno.

A.C.
AMD ALESSANDRO MARCHELLI DESIGN, sensory interior architecture” è il nome per esteso dello Studio che hai fondato nel 1990. Mi ha molto incuriosito l’utilizzo dell’aggettivo sensory così “sfacciatamente” associato alla progettazione d’interni che, tuttavia, si comprende nel suo significato una volta conosciuti i tuoi lavori. Approfondiamo questo aspetto?

A.M.
Sensory, tradotto in italiano con “sensoriale”, è una parola che ho scelto perché identifica perfettamente il mio lavoro che non consiste nell’arredare ambienti collocandovi oggetti che assecondino i gusti dei clienti: il mio intervento mira a “plasmare” la materia secondo concept ogni volta diversi e innovativi.

Non replicare mai me stesso è una mia profonda esigenza e, capirete, ciò implica più fatica e tanta sperimentazione.

Certo, ci si complica un po’ la vita ma vi assicuro che il risultato finale, sempre frutto di un eccellente lavoro di squadra, compensa di tutti gli sforzi.
Chi si rivolge a me riconosce la cifra stilistica e non si aspetta ambienti minimali, per i quali non riuscirei a dare il meglio.
Il mio è un design “organico”: gioco con la materia e la luce per realizzare forme antropomorfe, morbide, sinuose, che vengono modellate di volta in volta.

A.C.
Nella descrizione della tua filosofia tra le pagine del tuo sito web si parla di creare “… ambienti, situazioni, emozioni, a volte con spirito provocatore e in contrasto con quello che è il mondo esterno”. Come si evidenzia nei tuoi progetti la provocazione ed il contrasto con l’esterno?

A.M.
Si evidenzia nella contrapposizione a quello che è l’ordinario, attraverso una ricerca di modalità espressive che possano rendere riconoscibile il mio lavoro. Ogni volta cerco di allontanare di più il traguardo ed alzare, come si dice, l’asticella per raggiungere un risultato che possa essere definito fuori dalla consuetudine.

A.C.
Dominare quelle linee curve, sinuose e dinamiche che caratterizzano i tuoi progetti di sensory interior e di design, richiede, a mio avviso, una notevole capacità di controllo della materia e anche una certa dose di “superiore” visionarietà rispetto, invece, all’utilizzo di composizioni caratterizzate da rassicuranti simmetrie ed angoli retti. Qual è la tua opinione?

A.M.
Non mi ritengo un visionario nel senso di colui che immagina o elabora disegni inattuabili. Il mio lato “visionario” emerge nel momento in cui, entrando in un ambiente nel quale andrò poi ad operare, a volte succede che mi si affacci subito nella mente un disegno lontano dagli schemi ordinari e che proporrò al Cliente, nella piena consapevolezza che si tratterà di fare più fatica, che ci sarà un duro lavoro per tutti e anche per me che devo inevitabilmente “mettere le mani in pasta” con le maestranze, gli artigiani, i tecnici con i quali affronto puntualmente ogni difficoltà e problema che loro, da veri esperti, mi sottopongono di volta in volta.
In questo modo giocoforza si deve avere capacità di controllo sulla materia, non solo per poterla esprimere in forme complesse ma anche con determinati tipi di finiture affinché si ottengano effetti particolari, e studiati a monte, con il progetto di illuminazione.

A.C.
Mi aggancio alla tua ultima affermazione sugli effetti particolari ottenuti col progetto di illuminazione: sono in errore se dico che il tuo approccio al progetto di interior -con i suoi elementi di disegno fortemente caratterizzante, gli aspetti grafici e scultorei, l’attento studio delle luci e delle composizioni prospettiche- mi sembra più vicino ad una visione da scenografo?

A.M.
Mi piace il termine scenografo e tutti gli elementi che hai citato nella domanda sono presenti nella mia progettazione a partire dal disegno, che realizzo ancora rigorosamente a mano. È una modalità per me irrinunciabile perché mi permette di tradurre immediatamente in segni grafici i pensieri che prendono man mano corpo e si trasformano in progetto materico e contemporaneamente in progetto di luce. Il secondo non è mai conseguente al primo, nascono entrambi nel medesimo istante e convivono in stretto rapporto, direi di tipo simbiotico, perché tendo sempre a nascondere la sorgente luminosa mascherandola con la materia modellata.
Un esempio in questo senso sono le mie due lampade, che si avvicinano più al concetto di scultura, “Bugiardina” e “Master of light”, nelle quali la fonte luminosa non è direttamente visibile.
Trovo che Bugiardina, una sospensione realizzata in collaborazione con C.F.O. Lighting, sia una lampada molto interessante e la utilizzo spesso negli ambienti che progetto perché riunisce in un unico corpo tre funzionalità diverse: una luce diffusa, una luce puntuale verso il basso per la lettura e una luce d’atmosfera serale che si proietta sul soffitto. Il tutto perfettamente domotizzabile.
La lampada Master of light ha invece una storia diversa. Ne esistono solo due pezzi unici, di cui il primo realizzato direttamente in opera dalle abili mani di un maestro della lavorazione del gesso, nato per illuminare il vano scala di una palazzina del Settecento nel centro di Nizza Monferrato: il concept è quello di un nastro che si distende in un vortice di luce. Il secondo esemplare, che ha un’altezza superiore ai due metri, è collocato nel mezzanino di una villa Liberty, ed è stato realizzato tramite uno stampo e modellato in vetroresina.

A.C.
Ci parli dell’Associazione Italiana per l’Interior Design (AIPi) e del ruolo che svolgi all’interno di essa?

A.M.
Faccio parte di AIPi ) dal 1990. All’interno dell’Associazione ho ricoperto diversi ruoli e da un anno a questa parte svolgo l’incarico di CEO e Art Director. La nascita dell’Associazione è in realtà ben più remota e risale alla fine degli anni ’60 quando un gruppo di architetti e designer hanno sentito la necessità di un riconoscimento ufficiale della figura del progettista di spazi interni, troppo spesso confusa con quella dell’arredatore.
In più di 50 anni di esistenza AIPi ha percorso parecchia strada non solo per accreditare la professione ma anche in termini di formazione come è ben evidenziato nella mission riportata sul sito web dell’Associazione che cito testualmente: “… miriamo anche a fare da mentore e a coltivare giovani talenti in modo che possano essere in grado di guidare la professione verso livelli più alti; e incoraggiare l’apprendimento permanente e il continuo aggiornamento delle competenze e delle conoscenze per tutti i membri”.
L’ultimo anno ha visto AIPi protagonista di iniziative molto importanti: una fra tutte quella di essere entrata a far parte dell’osservatorio ADI DESIGN INDEX.

A.C.
Alessandro, che cos’è il “Nicia Paléarum diffuso hotel & SPA”? È un progetto in via di completamento dato che nel web sono pubblicati solo i render?

A.M.
Ancora prima di essere un brand appositamente creato è un mio grandissimo sogno: un progetto cui tengo moltissimo e che non ha ancora avuto avvio ma che vorrei al più presto realizzare nella mia città, Nizza Monferrato, meta di un turismo che si è incrementato significativamente da quando è entrata a far parte del sito UNESCO “I paesaggi vitivinicoli del Piemonte: Langhe-Roero e Monferrato”.
Il concept si basa sulla realizzazione di un hotel urbano diffuso attraverso la realizzazione di suite di lusso ottenute dal riutilizzo di spazi commerciali dismessi che guardano la via principale del centro storico. Un luogo speciale di cui le persone possono godersi una passeggiata tra un antico porticato e l’altro ammirando gli edifici storici che si affacciano su questo “nastro” urbano irripetibile.
Cosa si dovranno aspettare gli ospiti una volta varcati i portali in legno che separano le suite da questo vivace mondo esterno?

Ho immaginato una dimensione completamente diversa, un mondo sensoriale ed estremamente confortevole fatto di luci, suoni, profumi ed arredi dalle linee sinuose ed avvolgenti, spazi smart concepiti per il totale benessere degli ospiti.

Io vedo molte potenzialità in questo progetto perché Nizza Monferrato ha una consistente base turistica straniera e sarebbe bello poter offrire agli ospiti, oltre alle bellezze paesaggistiche e alle eccellenze enogastronomiche, l’occasione di conservare il ricordo della migliore, e non comune, esperienza di ospitalità possibile.

A.C.
Nel corso della tua carriera hai ricevuto premi e menzioni per progetti di interior. L’ultimo è dello scorso gennaio, il GOLDEN RING PRIZE 2021 per il progetto TOWER HOUSE.  Nel 2019 vinci invece il premio nella sezione LANDSCAPE del DNA PARIS DESIGN AWARDS per il progetto “INVISIBLE”. Di cosa tratta questo progetto che è stato nuovamente premiato poco tempo fa?

A.M.
Si tratta di un lavoro pubblico che verrà inaugurato a breve e che per me ha rappresentato una vera e propria sfida. Sì, perché “ingentilire” la presenza di un grigio, invadente, edificio industriale di 40×35 metri per un’altezza di circa 9 metri, posto all’ingresso della città, non è stata certo un’impresa facile.
L’idea iniziale di rivestimento vegetale delle facciate, sicuramente di grande impatto, è venuta meno per i non indifferenti costi della manutenzione prospettati negli anni

A quel punto mi sono venute in aiuto le nostre amate colline patrimonio Unesco:

le abbiamo fotografate nelle diverse stagioni riproducendo gli scatti -attraverso sofisticate tecniche digitali- su tessere di mosaico realizzate in resina mista a polvere di marmo con le quali rivestiremo la facciata principale su strada che risulterà così mimetizzata col paesaggio circostante.

Lo zoccolo di questo fronte sarà costituito da un “reale” filare di viti, mentre per il coronamento ho pensato ad un rivestimento con una pellicola a specchio, alta tre metri, capace di riflettere perfettamente e senza deformazioni il cielo nelle diverse ore del giorno e della notte.
Ho suddiviso invece il fronte laterale, più lungo, in 26 campate cromatiche: abbiamo eseguito centinaia di prove di colore per ottenere una sequenza che, a partire da una certa tonalità di verde, si concludesse dopo 25 graduali passaggi con una sfumatura in perfetta armonia con il colore delle colline che fanno da sfondo.

Mi piacerebbe che questo intervento di integrazione tra edificato e paesaggio possa essere preso da esempio, una sorta di progetto pilota per chi si occupa di manufatti industriali prefabbricati.


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a cura di
ANNAMARIA CASSANI

guest
ALESSANDRO MARCHELLI 
Interior designer
Via Gozzellini 13
14049 Nizza Monferrato (Asti) italy
📞 +39 0141 725135
📩 info@alessandromarchelli.it

immagini
archivio Alessandro Marchelli 

 


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