LCA Architetti: una sostenibilità sincera
La ricerca della bellezza come obbiettivo primario, la convinzione che si possa ottenere anche attraverso un’architettura realmente sostenibile: una conversazione con l’architetto Luca Compri sugli argomenti della nostra contemporaneità.
Non si può parlare né di pionierismo né di inaspettata lungimiranza: si tratta di una naturale vocazione per la bioarchitettura.
Luca Compri, classe 1971, da 25 anni si occupa di architettura sostenibile e dal 2001 con un proprio Team nello studio di Varese. Le competenze abbracciano settori che si estendono dalla progettazione di oggetti di design ai masterplan urbanistici, passando attraverso la partecipazione a concorsi di architettura e all’attività di formazione didattica in ambito accademico e professionale. Un variegato insieme di impegni/compiti, quello dello Studio LCA, cui è valso l’assegnazione di numerosi premi e importanti riconoscimenti internazionali e che ha come comune denominatore, molto ben evidenziato nei contenuti del sito web un’ideale “sacra triade”: persone, architettura, ambiente.
Con Luca Compri intendiamo riassumere la situazione del settore commentando i punti chiave del “Manifesto del Legno”, sottoscritto nell’ottobre scorso a Verona dalle varie associazioni di categoria in occasione del Wood Experience (il Salone Internazionale dedicato alla filiera del legno, organizzato da Piemmeti).
E quindi tenteremo di capire quali siano le reali implicazioni e quali gradi di realizzabilità contengano le varie proposte proprio con chi, da tempi non sospetti, si occupa di ecosostenibilità nel campo dell’architettura.
Annamaria Cassani.
Luca, i 5 punti chiave del “Manifesto del legno” parlano di necessità di tutelare la biodiversità, di biomassa legnosa come risorsa energetica del Pianeta, del legno come materiale “innovativo”, versatile, efficiente e sicuro per l’edilizia. Si parla anche di un’urgenza circa l’insegnamento, la ricerca scientifica e una generale necessità di diffondere una “cultura del legno”. Cosa ne pensi, rispetto ovviamente alla tua esperienza sul campo?
Luca Compri
Per quanto riguarda la biodiversità senza ombra di dubbio mi sento di dire che sia un obiettivo da perseguire essenzialmente per due motivi: il primo, di natura economica, per spezzare l’oligopolio delle monoculture che ha visto, negli ultimi tempi, un aumento dei prezzi del materiale. Il secondo, invece, è di natura ambientale.
Mi spiego: una strategia basata sulla biodiversità può far sì che piccoli coltivatori locali, soprattutto se coordinati, possano costruire delle isole ecologiche con essenze tipiche del posto e funzionali alle lavorazioni in ambito edile. Ciò consentirebbe non solo di spezzare l’oligopolio cui accennavo prima ma anche di tutelare i nostri paesaggi, gli ambienti naturali familiari e tutta le bio- attività ad essi connessi, perché si andrebbe a lavorare con essenze che si possono trovare vicino a casa.
Per quanto riguarda le risorse energetiche penso che dovrebbero essere privilegiati certi tipi di “apporti gratuiti” che, alle nostre latitudini, sono soprattutto quelli del sole. Significa costruire edifici con una grande inerzia termica, ben isolati, capaci di intrappolare quello che la radiazione solare fornisce in termini di energia, allo scopo di ridurre al minimo l’utilizzo di qualsiasi altra risorsa esterna, legno compreso. In questo modo non andremo ad incrementare ulteriormente le immissioni di CO2 nell’atmosfera.
Dissento, invece, sulla definizione del legno come “materiale innovativo”, a meno che non si voglia fare riferimento a impieghi e funzioni che sono appartenuti finora alla plastica. Ricordiamoci che è uno dei più antichi materiali utilizzati dall’uomo e, per quel che riguarda il nostro approccio all’architettura, rappresenta un elemento importantissimo che abbiamo voluto sostituire al calcestruzzo armato.
Nella nostra pratica quotidiana il legno è il protagonista dei nostri progetti. Lo usiamo principalmente come condizione strutturale: sembrerà strano ma non abbiamo trovato in natura un degno sostituto.
L’ultima biennale di Venezia ha messo in mostra case realizzate con stampanti in 3d utilizzando plastica riciclata piuttosto che materiali naturali derivanti da residui di lavorazioni non legate alla filiera del legno. Con le nuove tecnologie si aprono scenari indubbiamente interessanti ma personalmente trovo che la differenza percepibile, tra una casa con un’anima in plastica ed una con un’anima in legno, sia notevole: sono sensazione radicalmente diverse!
Quindi ben venga l’espansione dell’utilizzo del legno nel campo edile ma ritengo anche che sia importantissimo ottimizzarne l’utilizzo di pari passo con i progressi dell’industria di settore, perché è vero che si tratta di un materiale rinnovabile ma anche esauribile se impiegato in maniera estremamente intensiva.
Per evitare questo rischio occorre fare i conti con quello che effettivamente ci può servire, uscendo da “un’epoca di surplus” e ricercando un equilibrio in termini di risorse da utilizzare.
Per ultimo, sull’aspetto di una maggiore diffusione della cultura del legno, dico che bisogna stare attenti a non fare affermazioni troppo generalizzate e che occorre piuttosto “contestualizzare” perché non è detto che il legno sia il materiale più idoneo da utilizzare e indifferentemente in qualsiasi contesto geografico: non è una panacea!
Il rischio di questi “Manifesti” è quello di fermarsi alla superficie delle cose e di non far trasparire concetti che invece devono essere posti in prima fila.
A.C.
In riferimento alla tua ultima affermazione, Luca, quali sono gli aspetti che devono essere posti in bella evidenza e che invece rischiano di essere trascurati?
L.C.
All’inizio della mia carriera professionale ho seguito corsi che avevano come tema il risparmio energetico: le case che venivano proposte come “esempi cui riferirsi” presentavano un’immagine stereotipata: affacci vetrati a sud, forme compatte, una totale assenza di “poesia”, diversità ed estetica che l’architettura deve avere, venivano sacrificate in virtù dell’utilizzo di un materiale e dall’esigenza di risparmio energetico. Ma la diversità ed il tratto estetico e l’impronta “costruttiva” di volta in volta confortata dal luogo, a mio giudizio, sono per l’architettura elementi qualificanti e irrinunciabili.
Troppo spesso ci si dimentica che la “sostenibilità” in architettura deve essere intesa come qualcosa ad ampio spettro, che comprenda anche qualità come la “bellezza”.
Penso che inserire belle architetture nel paesaggio non sia una semplice opzione ma il compito primario di chi progetta.
Non vorrei apparire eretico ma se mi si dovesse chiedere, senza possibilità di altre scelte:” Preferisci progettare un edificio sostenibile ma che non si possa propriamente definire un’architettura, oppure realizzare un’opera di architettura ma che non sia esattamente ecosostenibile?”, io sceglierei senza esitazione la seconda opzione.
Ma rimedio subito lo spiazzamento che può produrre questa mia affermazione, aggiungendo che sono fermamente convinto che architettura (e intendo “bella architettura”) e sostenibilità possano ritrovarsi a braccetto: è quello che sto cercando di fare da un quarto di secolo, anche didatticamente. Ho convintamente approcciato la materia quando ancora mi vedevo rifiutare proposte di corsi di bioarchitettura perché considerata argomento non interessante!
A.C.
Qual è l’approccio progettuale che ti connota e connota il tuo Studio?
L.C.
Cerco di darmi, e di dare ai miei Collaboratori, un “metodo” per affrontare qualsiasi tipo di progetto, che sia l’impaginato di una copertina o un edificio. Dico al mio Team di non spaventarsi davanti a nulla, soprattutto di fronte al nuovo.
In una società in cui tutto è andato specializzandosi io credo che l’architettura sia ancora una disciplina “umanistica” e che l’approccio debba essere in questo senso.
Gli architetti non devono essere specialisti di nulla e sappiamo bene che alcuni temi non si possono conoscere a priori ma si imparano proprio nel corso della progettazione specifica. Gli architetti devono essere capaci di applicare con rigore, magari anche con estrema fatica, un metodo acquisito che consenta di occuparsi di cose anche molto diverse tra loro.
l nostro Studio in genere non rifiuta mai un lavoro, a meno che si tratti di pura speculazione o “non architettura”.
Una volta un carissimo collega, cui devo molto e al quale rendo omaggio con questo suo pensiero, mi disse che un Architetto, per capire realmente quello che sta facendo, deve attendere parecchi anni per poi voltarsi indietro e guardare i progetti che ha realizzato, per coglierne l’ “universale” che non si può mettere a fuoco nel quotidiano, più preoccupato da un affannoso percorso che si svolge tra ricerca di soluzioni, budget, normative, vincoli: tutti elementi che probabilmente rendono comunque il progetto migliore e più stimolante.
A.C.
Luca, in un clima di greenwashing dilagante quale sembra essere quello contemporaneo, puoi trasmetterci la tua idea di architettura sostenibile?
L.C.
Innanzitutto penso che per un architetto sia superfluo dire che si occupa di architettura sostenibile perché, di fatto, se fa bene il suo lavoro ed è calato nella dimensione del contemporaneo risulta obbligo fare i conti con un certo tipo di progettazione da cui non può più prescindere.
Penso anche che il passaggio al costruire sostenibile debba essere graduale perché una trasformazione repentina, qualora dovesse avvenire forzando i necessari tempi tecnici di adeguamento del comparto produttivo, di fatto renderebbe il percorso stesso quasi totalmente impossibile.
Partecipando a numerosi concorsi di architettura ho constato come, nel corso degli anni, i bandi si siano adeguati nelle richieste conferendo al parametro “sostenibilità” una fondamentale importanza nei criteri di giudizio. L’analisi di alcuni progetti vincitori mi porta, tuttavia, a pensare che forse non sia stato ben compreso il concetto, là soprattutto dove vedo per le strutture l’utilizzo di calcestruzzo armato o acciaio.
Non penso di dire nulla di nuovo se affermo che alcuni edifici proposti come “green” di fatto non lo siano: per me il termine sostenibilità deve avere un’alta componente di sincerità, non si può spacciare per sostenibile un edificio che può esserlo solo parzialmente!
A mio giudizio, la sostenibilità ha una dimensione molto profonda che lego alla convinzione che qualsiasi cosa che si costruisca debba avere una grande empatia con l’anima del Committente, persona singola, coppia, famiglia o gruppo di colleghi che sia.
Ricerco nel progetto una comunicazione, quasi inconscia, tra me ed il Committente del quale cerco di capirne la natura, l’anima vera.
È su questo livello che ritengo debba essere gettato il seme della sostenibilità, un termine cui conferisco un significato veramente allargato comprendendo concetti a mio avviso imprescindibili quali persone, risorse, ambiente, contenuto estetico.
Perché le architetture, se fatte bene, rientrano in quella sostenibilità che definisco visiva o estetica che non dobbiamo mai trascurare perché abbiamo bisogno anche di questo.
La casa di paglia, legno e sughero che abbiamo realizzato nel 2016 a Buscate, in provincia di Milano [un progetto molto pubblicato nel web, n.d.r.], per una giovane coppia di informatici, che non aveva inizialmente alcuna intenzione di abbracciare un approccio progettuale basato sulla bioarchitettura, è un esempio in tal senso: non solo abbiamo realizzato un’architettura sostenibile ma anche innescato un processo di trasformazione in due persone che oggi hanno assunto dei comportamenti virtuosi e radicalmente diversi nei confronti dell’ambiente, del pianeta, delle persone.
Ecco, questo è ciò che per me significa sostenibilità.
s f o g l i a l a g a l l e r i a
a cura di
ANNAMARIA CASSANI
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SIMONE BOSSI