I colori dell’antichità.
Rosso, bianco e nero: una terna di colori che ha dominato dalla preistoria sino al medioevo. Il loro accostamento ancora oggi suscita piacevolezza ed appare quanto mai elegante e sofisticato.
Che i colori abbiano influenza sulla nostra psiche e che, in maniera più o meno conscia, condizionino le nostre reazioni secondo il grado di affinità che hanno con la nostra personalità, non costituisce di certo una novità.
È proprio sulla base di questo meccanismo che da una ventina d’anni si è affacciata anche nel nostro Paese la professione del “Color Designer” che se, all’epoca, possedeva una identità ancora “fumosa,” da allora si è progressivamente venuta sempre più a delinearsi come figura indispensabile nella redazione di progetti del colore attenti e consapevoli, aventi come fine non solo il miglioramento dell’estetica dell’ambiente abitato ma soprattutto l’aumento del benessere fisiologico e psicologico di chi lo abita.
Come spesso accade, lo spunto di riflessione, tuttavia, nasce un po’ per caso: un innesco banale e poi a cascata una pioggia di informazioni che si cerca di riordinare prima nella mente e poi sintetizzare nella scrittura.
È la foto della pavimentazione originale in piastrelle di cemento conservata con cura in una storica farmacia del vicentino risalente al 1850 che innesca i miei pensieri. Le mattonelle quadrate, con disegni romboidali, nella classica colorazione rosso mattone, grigio antracite tendente al nero e quel beige che la Pantone chiamerebbe Winter White, sono quelle che compaiono nella chat insieme con un laconico “Adoro!”.
Chi ha realizzato lo scatto mi offre l’occasione di constatare come di fatto, anche in epoca non sospetta, quando ancora non ne era stato proposto il revival con materiale ceramico, sul rivestimento con cementine non ho sentito altro che commenti di apprezzamento anche da parte di non addetti ai lavori.
Certo, qualcuno potrebbe obiettare che in questo caso si tratterebbe della percezione nostalgica di una atmosfera d’antan che, accostata a quel qualcosa di raffinato e distintivo, dà origine ad un piacevole richiamo di immagini di salotti borghesi, ma anche popolari, prima della diffusione massiva del materiale ceramico.
Avevo, tuttavia, la netta percezione che le motivazioni di ttanta piacevolezza andassero ricercate altrove e che avessero un fondamento atavico, ancestrale.
Consulto la mia bibbia personale in tema di colori (Michel Pastoreau, “L’Uomo e il colore”, Edizioni Giunti, 1987) e ri-scopro che la terna “rosso, bianco e nero”, assieme alle loro diverse sfumature, fa parte dell’eredità trasmessaci proprio dai nostri antenati, ancora in un periodo protostorico, quando venivano utilizzati pigmenti naturali. Cito testualmente:
“Esso [il primato del colore rosso] costituisce un fatto fondamentale di antropologia storica, e spiega perché nelle civiltà indoeuropee, e in particolare quella occidentale, il bianco ha avuto per lungo tempo, se non sempre, due contrari: il rosso e il nero; e questi tre colori hanno costituito tre poli attorno ai quali, fino al pieno medioevo, si sono articolati tutti i sistemi simbolici e tutti i codici sociali costruiti basandosi sull’universo dei colori…”
Sostanzialmente: nell’antichità il bianco, nonostante fosse utilizzato come un colore a tutti gli effetti (già nelle grotte paleolitiche si usavano materie a base di gesso nella rappresentazione delle figure) rinviava al concetto di “non colorato ma pulito”, il rosso era considerato il colore per eccellenza, l’unico colore degno di essere definito tale, per la sua luminosità e durata, sotto forma di pigmento, nelle tinture tessili ( il termine “rosso” in alcune lingue era usato per esprimere il concetto stesso di colore), e al nero era associato il concetto di “non colorato né pulito”.
Ma l’idea della presenza di qualcosa di primordiale nel nostro rapporto contemporaneo con la terna storica dei colori definiti “dell’antichità”, trova ulteriore conforto in una interessante tesi di laurea in cui mi sono imbattuta nel corso della ricerca (Giada Vinante : ”Bianco, nero, rosso. Semantica dei colori nel “Perceval” o “Le conte du Graal”, Università degli Studi di Padova, a.a. 2018/19), di cui riporto testualmente:
“Le idee, le sensazioni che possediamo, in maniera più o meno inconscia, sono sempre il frutto di un’antichità che sopravvive, cambia aspetto, ma mantiene la sua essenza”.
E ancora, scorrendo le pagine di questa tesi, si viene a conoscenza che i colori protagonisti della trattazione sono stati i primi ad essere nominati nelle varie lingue ed anche i primi a cui sono stati conferiti una moltitudine di significati e attributi molto “forti”, quasi universalmente riconosciuti.
L’importanza di questa terna è amplificata dal fatto che l’apparire di altri colori, i cosiddetti “colores floridi” suscitò nella Roma imperiale una forte opposizione perché considerati frivoli e falsi.
E allora, se il filosofo Ludwig Wittgenstein scriveva nella prima metà del secolo scorso:
«Se ci chiedono: “che cosa significano le parole rosso, blu, nero, bianco?” possiamo certo indicare immediatamente degli oggetti di tali colori. Ma la nostra capacità di spiegare il significato di queste parole non si spinge oltre»,
noi possiamo comunque confortarci con l’emozione che ancora oggi, da epoche remotissime, riescono a trasmetterci:
una sensazione di elegante “austeritas”, nell’accezione utilizzata da alcuni scrittori latini proprio per quella gamma ristretta di colori, con pochi contrasti tonali e vivezza di tinte, e che, opinione diffusa nei loro contemporanei, avevano contribuito alla grandezza di Roma.
s f o g l i a l a g a l l e r i a
testo
Annamaria Cassani
immagini
Adriano Pecchio
Serena Eller Vainicher
progetti:
per gentile concessione di
CasaBase Milano
Stella Orsini di h+,
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Vincenzi Mirco