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Interviste,  Outdoor,  Paesaggistica

Esotismi appassionati.

a cura di Alessandra Corradini

Un giardiniere tra le palme e il lago.

RITRATTO DI SAMUELE STORARI AL ALVORO FOTO PERSONALE

Qualche mese fa in Instagram parlavo degli stipendi italiani dei paesaggisti e del fatto che tutto il settore del verde in Italia non è riconosciuto.
Mi arriva un messaggio da una persona che non conosco e che inizia così: “Mi piange il cuore…”.
L’autore era Samuele Storari, giardiniere trentacinquenne veronese che da qualche anno ha deciso di trasferirsi a Zurigo.
Da quel momento inizia tra noi un confronto che mi ha permesso di conoscere il suo lavoro e le sue passioni.

E adesso mettetevi comodi, perché l’intervista è scomoda.

Alessandra Corradini
Samuele, perché ti trovi a Zurigo?

Samuele Storari
Ho causalmente conosciuto una ragazza di Zurigo e, frequentandola, ho conosciuto una città che non mi aspettavo. Sono arrivato da Verona senza ambizioni particolari, avevo nella testa Heidi e tutti gli altri stereotipi, spazzati via in un attimo da una certa atmosfera metropolitana. Per quanto riguarda il verde, ho visto quello di tutta l’Europa, anche del Canton Ticino dove ho lavorato, ma qui ho trovato un livello altissimo. Insomma sono a Zurigo per pura fortuna.

A.C.
Quale è stato il tuo percorso per arrivare a fare il giardiniere?

S.S.
Da ragazzino volevo fare il veterinario, poi, durante gli studi per diventare perito agrario, ho conosciuto la botanica e mi sono innamorato delle piante. Ho concluso gli studi con una tesina in viticoltura e ho iniziato a lavorare come viticoltore specializzato. Avevo, però, nella testa la passione per il giardino esotico e per le palme che ho iniziato a studiare e a collezionare. Andavo spesso in un vivaio della mia zona a chiedere informazioni, finché un giorno il vivaista mi ha proposto di lavorare per lui, ho accettato e i miei occhi e il mio cuore hanno iniziato a battere. Ho capito che i giardini erano la mia strada.

A.C.
Possiamo dire che l’Italia ti ha fatto innamorare delle piante?

S.S.
Sì, il mio amore per le piante è nato in Italia. Io sono una persona creativa e mi piace sperimentare piante esotiche, ma nel nostro Paese le idee senza un immediato ritorno economico non sono considerate. Avevo proposto al vivaista di acquistare, a mie spese, i semi di una palma nana resistente al freddo, la Chamaerops humilis ‘Cerifera’, dalle foglie azzurro-glauco molto ornamentali. Quindici anni fa non era presente sul mercato del Nord Italia e nelle serre avremmo potuto provare a coltivarla, ma mi è stata negata ogni possibilità.
Diciamo che la mia passione è Italiana, ma ad alimentarla è la Svizzera con il suo paesaggismo a livelli altissimi e il suo coraggio di sperimentare.

A.C.
Che cosa hai dovuto fare per poter svolgere la professione di giardiniere in Svizzera?

S.S.
Tanto quanto in Italia è difficile trovare lavoro, in Svizzera non ci sono problemi di occupazione e questo vale anche per gli stranieri. In alta stagione, ad esempio, si assumono molti stagionali senza esperienza per fare l’aiuto giardiniere. Io ho consegnato il mio curriculum e sono stato subito assunto con una posizione buona, perché sono stato agevolato dalle mie esperienze italiane. Se hai voglia di fare, vieni aiutato con corsi di tedesco e con corsi di formazione. Tutti, quindi, possono facilmente iniziare, ma per progredire e diventare giardiniere professionista devi prendere un diploma che si chiama EFZ. Per superare l’esame bisogna fare un riconoscimento tecnico di cinquecento specie di piante, scrivendo il loro nome sia in latino che in tedesco e superare prove pratiche di giardinaggio, potatura e nozioni di sicurezza sul lavoro. Io sono stato riconosciuto a tutti gli effetti giardiniere paesaggista, grazie al fatto che ad alcuni anni di lavoro a Zurigo si sono sommate le mie esperienze italiane e il mio diploma. Oggi potrei aprire una partita iva e iscrivermi in un’università svizzera, senza fare l’esame di ammissione.

A.C.
Come si svolge il tuo lavoro ora?

S.S.
Da alcuni anni sono caposquadra, dipendente di una delle più grandi aziende di Zurigo a cui ambivo. L’azienda ha 150 dipendenti divisi in due grandi squadre: la squadra di costruzione che si occupa di costruire completamente un giardino e la squadra di manutenzione a cui appartengo. A noi gli studi di architettura del paesaggio forniscono le planimetrie per poter fare la piantumazione delle piante secondo il progetto e poi, ovviamente, ci occupiamo della manutenzione.
Nel tempo libero, inoltre, faccio consulenze per giardini esotici.

A.C.
Che cosa ti appassiona del lavoro che svolgi ora?

S.S.
Tutto. Quando motivo i nuovi arrivati in squadra, spiego che un prato da tagliare è ovunque un prato da tagliare, ma qui a Zurigo lavoriamo bene. Utilizziamo attrezzi a batteria, silenziosi e di ultima generazione, perché la Svizzera si sta sempre più convertendo all’elettrico. Nel Sud dell’Europa e in Italia spesso capita di dover lavorare con mezzi a benzina molto rumorosi, obsoleti e di farlo in giardini mediocri, senza un progetto e senza una coscienza ambientale. Io qui lavoro con paesaggi splendidi attorno a me, proprio perché la natura è rispettata, mi sembra sempre di essere in vacanza, perché c’è il lago e ogni giorno imparo piante nuove in contesti stupendi e questo è ciò che mi interessa.
Qui applichiamo tecniche e metodologie di manutenzione che sono estranee alla media dei giardinieri italiani. Per farti un esempio, nei prati è normale lasciare una parte dedicata agli insetti pronubi [che trasportano il polline permettendo l’impollinazione e la formazione dei frutti n.d.r.], l’ampia diffusione della cultura del verde (privato e pubblico) rende il prato fiorito parte della normalità di chi possiede un giardino, solo una minoranza richiede il prato inglese che, per lo più, viene destinato alle ville storiche. Io chiamo questo “giardinaggio 2.0”, a volte anche “giardinaggio 3.0”, rispetto al giardinaggio italiano che non è paragonabile, né per modalità di lavoro, né per scelta delle piante. E non possiamo farne un discorso climatico, perché il Nord Italia è allineato al clima della Svizzera.

A.C.
Che cosa c’è di italiano nel modo in cui svolgi il tuo lavoro a Zurigo?

S.S.
Niente. Anzi, posso dirti che, per la mia esperienza, la criticità maggiore in Italia sta nella stesura dei preventivi: meno si fa spendere, meglio è. Lavoravo troppo velocemente, sapendo che il lavoro sarebbe venuto male e questo è stato uno dei motivi per cui ho detto basta. Io ci mettevo la faccia e mi vergognavo, anche se la responsabilità era del mio capo. In Svizzera il benessere della pianta viene al primo posto. Se devo potare una siepe e non posso farlo col tagliasiepi, lo faccio a forbice e ci metto tre volte di più. Al cliente non interessa, il cliente paga, perché sa che bisogna farlo per l’albero. La maggior parte dei lavori sono svolti in modo minuzioso, dettagliato e professionale, perché c’è una prassi molto diffusa che prevede il reclamo. L’imprecisione è inammissibile, quindi tutto deve essere perfetto, e per ottenere la perfezione ci vuole tempo. So che in Italia questo potrebbe risultare incomprensibile, un mio carissimo e bravissimo collega di Palermo, appena inserito nel gruppo di cui ero caposquadra, faceva molta fatica a rispettare le nostre modalità di lavoro. Aveva paura di metterci troppo tempo e il mio compito era quello di spiegargli che non si pretendeva velocità, ma rispetto delle procedure che qui, se non superano eventuali controlli, vengono sanzionate molto pesantemente.
Per fare un esempio ancora più pratico, la nostra azienda non utilizza il diserbo chimico da anni e questo orientamento è molto diffuso.

Per cui puoi facilmente vedere una squadra di tre ragazzi che tolgono per tutto il giorno le erbacce manualmente: non importa quanto costa e quanto ci metti, devi farlo per l’ambiente.

C’è un altro episodio utile per capire il rispetto per questa professione. Tre settimane prima di iniziare a lavorare, mi hanno consegnato tutto l’abbigliamento completo, comprese le scarpe antinfortunistiche che il mio capo mi ha consigliato di utilizzare un po’, passeggiando sulle colline, per non avere dolore ai piedi al primo giorno di lavoro. Io arrivavo da una concezione italiana in cui l’operaio giardiniere è un numero a cui nemmeno vengono forniti i guanti e lo dico perché mi è successo. Tutto questo mi ha motivato e mi ha fatto sentire considerato.

A.C.
A proposito di Italia, raccontaci un po’ del tuo sogno esotico.

S.S.
Eh, questa è la mia ossessione amorosa, una malattia…sai quando ti piace una ragazza e ti batte il cuore, senza una spiegazione precisa.

Quando vedo la macro famiglia delle piante esotiche, principalmente palme, yucche, agavi e succulente, io divento pazzo.

Amo anche le perenni e le graminacee ornamentali, per cui, se potessi, comprerei un pezzo di terra e…piante a gogò! Da quando ho diciassette anni colleziono piante esotiche resistenti al freddo. Spesso viene confuso “esotico” con “tropicale”, ma, ad esempio, le palme tropicali da noi non possono essere coltivate, perché sotto i 10 gradi una palma tropicale muore. È impossibile creare un giardino tropicale, ma si possono mettere piante dall’aspetto tropicale, senza che arrivino da quelle latitudini. Per esempio, a chi apprezza la Bismarckia nobilis, autoctona in Madagascar, la perfezione della natura offre come alternativa una palma resistente al freddo, la Brahea armata, originaria delle montagne del Brasile.
Esotico” significa “proveniente da paesi stranieri”; per cui sono esotici il “giardino mediterraneo” che ben conosciamo, il “giardino desertico” in cui si usano succulente e sassi, il giardino “look like jungle” in cui metto piante a foglia larga molto fitte, per ricreare un effetto foresta, come il banano, le palme a foglia larga e tanti fiori e fioriture rampicanti, tra cui le Clematidi.
Questa ossessione mi ha portato a creare, nel mio giardino di Verona che curo personalmente ogni volta in cui torno da Zurigo, un umile e piccolo orto botanico sperimentale di piante esotiche resistenti al freddo. Non ho più spazio, so che mi resta solo il tetto del garage, ma il rischio che mia madre mi butti fuori di casa sta diventando concreto.

Samuele, nel frattempo, sta studiando alla NAD, Nuova Accademia del Design, per diventare garden designer, gli auguriamo di poter presto diventare imprenditore e allora sarà…piante a gogò!


s f o g l i a l a g a l l e r i a

ospite
EXOTIC GARDENER
Samuele StorariI

Zurigo – Verona

https://www.exoticgardener.info/

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immagine di copertina
ph. Pexels


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