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Design,  Interviste

Marco Spatti: L’Estetica come funzione

… e l’innovazione come obiettivo primario

a cura di Annamaria Cassani

ritratto 1Se dovessi, con estrema sintesi, definire il lavoro di Marco Spatti, sceglierei due parole: “coerenza” e “semplicità”.

Poco da aggiungere riguardo alla coerenza, evidente nella sua produzione sempre lontana dal decorativismo e profondamente attenta all’aspetto etico del design, inteso come strumento di utilità sociale.

La “semplicità”, invece, merita una piccola spiegazione in più, per evitare di ridurla alla mera “assenza di complessità”. È una semplicità che, come la definì lo scultore Constantin Brâncuși, rappresenta «una complessità risolta», spesso con soluzioni, in questo caso, ispirate dall’osservazione della natura.

Nato nel 1985, Marco Spatti collabora dal 2007 con diverse realtà nel campo del design, dopo aver ottenuto un master in Design del Prodotto presso l’Istituto d’Arte Applicata e Design di Torino. Si occupa prevalentemente di design d’arredo, complementi e illuminazione. Ha collaborato con l’architetto e designer Mario Bellini, prima di intraprendere, nella seconda decade degli anni Duemila, il proprio percorso professionale indipendente.

Annamaria Cassani
Che ricordi hai della collaborazione con lo studio di Mario Bellini? Quale esperienza fondamentale per la tua carriera hai maturato in quel contesto indubbiamente prestigioso?

Marco Spatti
Quest’esperienza è stata per me assolutamente formativa e indispensabile. Ho avuto l’opportunità di avvicinarmi a una metodologia di progettazione “old school”, basata sulla stesura di bozzetti e modelli, in un continuo confronto con i prototipisti e i reparti aziendali di Ricerca e Sviluppo. Ho compreso l’importanza dei materiali, delle loro caratteristiche e delle tecnologie produttive di cui Mario Bellini è un grande conoscitore, maestro d’eccellenza nelle dinamiche di sviluppo del prodotto: da giovane e inesperto qual ero, ho avuto l’occasione di entrare nelle grandi aziende del design e di respirare quel profumo seducente che ha dato avvio alla mia carriera di product designer.

A.C.
Sull’articolo che INTERNI ha dedicato alla lampada LEVANTE che hai disegnato per LUCEPLAN si legge che, dopo una serie di collaborazioni, nel 2016 apri a Milano il tuo studio, “mettendo in atto una personale visione progettuale”. Da questa descrizione sembrerebbe quasi che tu non abbia avuto prima l’occasione di esprimere al meglio la tua creatività.

M.S.
Fare design di prodotto in collaborazione con uno Studio inevitabilmente significa adottare modalità appartenenti al DNA dello Studio stesso. Nelle mie prime esperienze lavorative, tuttavia, ho sempre trovato ambienti con un approccio progettuale molto vicino al mio, che hanno influenzato la mia crescita professionale, ma, ovviamente, è solo la progettazione sviluppata in totale autonomia ad offrire opportunità di esprimere pienamente la propria visione.

A.C.
E qual è la tua visione?

M.S.
Il mio approccio prende le distanze dalla decorazione fine a se stessa.  Parto dal presupposto di progettare oggetti “intelligenti”, che abbiano un’innovazione intrinseca, legata all’aspetto tecnologico, all’architettura del prodotto, alla produzione seriale o al materiale utilizzato: ogni prodotto deve portare con sé un contenuto di innovazione.

Credo che l’estetica sia una delle funzioni che un oggetto di design debba garantire.

Una lampada spenta comunque, con la sua forma influenza il contesto, in cui è collocata: un’estetica “morbida” può rendere l’ambiente più piacevole ed accogliente rispetto, ad esempio, ad un’estetica più “spigolosa”.

La forma di un oggetto svolge un ruolo funzionale nel migliorare la qualità della vita e nell’influenzare il modo in cui percepiamo e viviamo gli ambienti che ci circondano

Pensiamo a un vaso: la sua funzione primaria è contenere i fiori. Tuttavia, se collocato in una stanza d’ ospedale o di una RSA, la sua funzione diventa altra: far sentire le persone a casa perché la sua forma può evocare ricordi e sensazioni di familiarità, contribuendo al benessere di coloro che si trovano in condizioni di malattia in un ambiente estraneo.

A.C.
Nel medesimo articolo di INTERNI si parla della tua lampada LEVANTE come di un “coup de theatre”, un colpo di scena in perfetta sintonia con la filosofia aziendale che “punta su progetti unici e inimitabili”.
Ci narri la genesi di questo progetto che, tra l’altro, ha riferimenti di tipo naturalistico?

M.S.
Ventagli di luce fluttuanti nell’ambiente: è stata questa la suggestione che mi ha guidato nella realizzazione della lampada Levante.

Il richiamo alla natura è evidente: Levante evoca l’immagine di un fiore, con un fulcro centrale che funge da elemento generativo, “nutrendo” i petali perimetrali. Per la loro realizzazione, mi sono ispirato alle forme della Dionaea, la pianta carnivora di cui, tuttora, mi prendo cura nella mia casa.

È proprio dall’osservazione della struttura delle foglie della Dionaea che è scaturita la soluzione di dare volume ai “petali” della lampada, assottigliandoli progressivamente verso i bordi. La difficoltà iniziale è stata comprendere come far emergere la luce e, in un secondo momento, ho capito che la forma stessa dei petali poteva contribuire a creare la diffusione luminosa che ricercavo. 

A.C.

Restiamo ancora su LEVANTE: sulla pagina del sito web aziendale in cui si descrive la tua lampada si legge “Nasce dall’intuizione creativa del designer”. Se fino ad un paio di anni fa questa frase sarebbe, a mio avviso, passata quasi inosservata, oggi mi ha personalmente colpito. Qual è la tua opinione (e previsione) rispetto all’utilizzo dell’intelligenza artificiale nel campo del design?

M.S.

Nel settore del design del prodotto, l’intelligenza artificiale non ha ancora raggiunto pienamente il suo potenziale ma credo che questa sia una tecnologia con risvolti socialmente molto utili.

In alcuni ambiti, come quello medico, l’IA rappresenta una vera e propria rivoluzione: i software basati sull’intelligenza artificiale, se utilizzati correttamente, possono analizzare le diagnostiche per immagini—come TAC e risonanze magnetiche—con una profondità e una precisione superiori a quelle dell’occhio umano.

L’IA è in grado di incrociare i dati e i sintomi del paziente con un vasto database di letteratura scientifica e casi clinici nel mondo, riducendo drasticamente il numero di diagnosi potenzialmente errate: l’analisi dei dati è cruciale per quei settori in cui essi siano presenti a sufficienza.

Nel settore del design l’IA ha fatto il suo ingresso soprattutto nell’ambito dell’interior: fornendo la planimetria di un ambiente il software può restituire diverse soluzioni progettuali in base alle esigenze trasmessegli, realizzando rendering più o meno realistici a seconda del mood che si desidera ottenere.

Tuttavia, la qualità delle proposte deriva dalla capacità del progettista di fornire informazioni adeguate.

Un interior designer possiede, ad esempio, le competenze per associare stili diversi che richiedono intuizioni difficili da replicare per l’IA oltre ad un indispensabile approccio empatico che consente di realizzare soluzioni e atmosfere a misura del Cliente, che il Professionista dovrà tradurre per il software in input corretti sulla base delle sue “umane” competenze.
Nel design del prodotto, la situazione è ancora più complessa e l’assenza di capacità intuitiva da parte dell’IA rende indispensabile la presenza dell’ingegno umano.
Credo che l’intelligenza artificiale non minacci direttamente la figura del designer ma, piuttosto, può mettere a rischio alcuni ruoli come quello del renderista o del fotografo.  

A.C.
Ho letto che il mondo dell’illuminazione ti ha sempre affascinato “perché grazie all’innovazione tecnologica ti permette di realizzare oggetti innovativi in tempi più rapidi rispetto ad altre tipologie di arredo”. Approfondiamo?

M.S.
Nel mondo del design – mi limito a considerare qui l’ambito più ristretto della produzione di arredo- è il settore dell’illuminazione ad essere investito da una continua evoluzione tecnologica.  Qualche decennio fa l’invenzione della tecnologia a LED ha rivoluzionato il modo di progettare le lampade, fino ad allora legato unicamente alle caratteristiche delle lampadine a incandescenza.
L’evoluzione costante dei dispositivi  LED (pensiamo, ad esempio, a come si sono ridotte le dimensioni degli originari dissipatori) risponde alle reali esigenze di progettazione di nuovi prodotti offrendo ai designer opportunità significative.

A.C.
Tra i tavoli di KREOO, aziende che produce arredamenti e complenti in marmo, mi sembra che il tuo, “MORE”, si distingua per una “pulizia” delle linee ed un concept semplice in cui il decoro è dato dagli stessi elementi strutturali e da tagli e smussi derivanti dall’utilizzo di singoli elementi che, assemblati, consentono di ridurre gli sprechi ed ottenere superfici impensabili da realizzare con lastre uniche. Ci parli della genesi di questo progetto?

M.S
L’Azienda, che lavora prevalentemente
bespoke, cercava soluzioni per tavoli con piani in marmo di grandi dimensioni, scontrandosi inevitabilmente con i limiti delle caratteristiche fisiche del materiale che non consente di essere utilizzato in elementi monolitici dalle superfici estese.

In questo caso, l’obiettivo principale è stato ottimizzare l’uso delle lastre, che sono lavorate in dimensioni più piccole con riduzione dello scarto del materiale – un aspetto, quest’ultimo, per me fondamentale – dalla cui aggregazione nascono tavoli dalle grandi dimensioni.

A.C.
Le collezioni di carte da parati che hai firmato per SPAGHETTI WALL hanno una grafica minimalista e anche là dove introduci l’elemento naturale, le foglie, lo reinterpreti nuovamente come un segno grafico. Da dove nasce l’esigenza -cito dal sito aziendale- di “prendere le distanze dall’iper-decorativismo”? 

M.S.
Non credo che il concetto di decorazione sia qualcosa di negativo in sé: è semplicemente lontano dal mio modo di concepire il design.

Riconosco tuttavia che ci possa essere spazio anche per questo tipo di estetica, riflesso di un’epoca in cui l’unico aspetto interessante di un prodotto sembra essere diventato quello esteriore.

Come ho già espresso, nel mio lavoro cerco sempre di prendere le distanze dal decorativismo e le carte da parati che ho disegnato per SPAGHETTI WALL ne sono un esempio: nelle collezioni MODUS, TRAME, LAYOUT e HAZE ho preferito “suggerire” piuttosto che “abbondare”.

Le boiserie con doppie righe o i motivi a fogliame, ad esempio, sono stati trattati in modo graficamente non invasivo: l’immagine che ne deriva muta a seconda del punto di vista dell’osservatore, lasciando spazio alla percezione e alla interpretazione personale.

A.C.
Parliamo della collezione di tavoli River che hai disegnato per BROSS, un’interpretazione del classico tavolo su cavalletto. Mi incuriose conoscere com’è nato il progetto perché trovo molto bella (non mi viene altro termine) l’idea di una struttura che sembra scolpita dall’azione della corrente d’acqua di un fiume “che lucida le superfici e leviga i raccordi”.

M.S.
Abito in una città a est di Milano, attraversata dal Naviglio della Martesana, e spesso mi ritrovo a sviluppare le mie idee in un bar con una terrazza affacciata sul corso d’acqua. È proprio in questo contesto che ho trovato l’ispirazione per la collezione di tavoli RIVER.

Osservando l’acqua che scorre, levigando e modellando tutto ciò che incontra, ho individuato il linguaggio capace di esprimere il know-how dell’Azienda, soprattutto la sua eccellenza nella lavorazione del legno

La scelta della sezione ovale per la struttura dei tavoli richiama la morbidezza e la naturalezza delle forme plasmate dall’acqua. Le linee curve non solo aggiungono un’estetica piacevole, ma simboleggiano anche il profondo legame tra design e natura.

A.C.
Già una quindicina d’anni fa nel mondo della critica si metteva in evidenza come Aziende storiche italiane nel settore del design si spostassero in maniera sempre più accentuata verso il mercato “alto”.

Non trovi che da parte della produzione italiana di qualità ci sia stata una sorta di “tradimento” rispetto alle istanze iniziali per cui è nata la produzione di design che erano quelle di restituire valore estetico agli oggetti di uso comune? Mi spiego: sicuramente il valore estetico è stato restituito ma con prezzi di mercato alla portata delle sole fasce alte di reddito.  Il design non dovrebbe anche avere una funzione educativa al bello? Ed il bello non dovrebbe essere alla portata di tutti?

 

M.S.
Se tradimento c’è stato mi sento di dire che questo è stato di tipo collettivo:

il design, inteso nella sua accezione più ampia, così come l’arte, la letteratura, ecc. è manifestazione e rappresentazione della società che lo produce.

Rispetto ai valori democratici ed educativi di cui dovrebbe far carico la produzione di design, così come postulati all’origine, mi porrei oggi altre domande: siamo sicuri di saper ancora riconoscere il valore reale di un prodotto che esuli dal semplice parametro del prezzo di vendita e dalla consolidata, discutibile, corrispondenza “oggetto di design = costo elevato = (conseguentemente) bello?

Mi vengono in mente, ad esempio, alcune collezioni di scarpe di note case di moda il cui costo superiore alle mille euro difficilmente riesco a giustificare!

E ancora: siamo sicuri di (voler) essere ancora educati nel saper riconoscere il valore innovativo, funzionale e formale– concetti alla base della produzione di design – anche di semplici oggetti di uso quotidiano, quali sono, ad esempio, le posate?

In un sistema economico di tipo capitalistico qual è il nostro, quale altro interesse potrebbe essere considerato dalle Aziende importante al pari dell’incremento del fatturato?

Certo, l’attenzione alla sostenibilità da qualche anno è diventata, inevitabilmente, un parametro da tenere in considerazione e su cui investire, ma per le Aziende questo comporta sostenere costi superiori che inevitabilmente andranno ad influenzare al rialzo i prezzi di mercato.

Quindi, la domanda finale che mi pongo è questa: non è che, magari, dovremmo essere tutti nelle condizioni di avere un reddito tale da consentirci di comprare meno oggetti e qualitativamente migliori?

Ma questa è un’altra storia.

A.C.
Marco quale prodotto di design “contemporaneo” ha destato ultimamente il tuo interesse e curiosità?

M.C.
Cerco di rispondere coerentemente con quanto ho esposto finora: un oggetto che mi sarebbe piaciuto progettare è il ruotino elettrico per disabili, un sistema di propulsione composto da un manubrio e una ruota che viene agganciato ad una normale sedia a rotelle, trasformandola in un sistema di mobilità più avanzato.

Questo dispositivo, introdotto sul mercato solo pochi anni fa, ha radicalmente rivoluzionato la mobilità per le persone con disabilità. Prima della sua invenzione, chi aveva bisogno di muoversi in autonomia disponeva solo di sedie a rotelle elettriche.  Queste, pur essendo funzionali, presentavano alcuni notevoli svantaggi: un peso superiore ai 100 kg, una struttura ingombrante e non pieghevole, e la necessità di essere smontate parzialmente per il trasporto. Inoltre, per spostarle da un luogo all’altro era spesso necessario l’utilizzo di veicoli dotati di rampe o piattaforme elevatrici, complicando ulteriormente la logistica.

L’innovazione di questo manubrio con ruota anteriore risiede nella sua capacità di garantire una mobilità più flessibile e autonoma. Una persona può facilmente collegarlo e scollegarlo dalla propria sedia a rotelle, senza assistenza. La batteria, essendo rimovibile e di dimensioni contenute, permette di ripiegare il dispositivo e riporlo comodamente nel bagaglio di un’auto: una soluzione prima impensabile!

Trovo che questo dispositivo sia un esempio eccellente di design funzionale, che combina ergonomia e innovazione tecnologica, in grado di migliorare la qualità della vita di molte persone.


Anna

a cura di
Annamaria Cassani

ospite
Marco Spatti
Via G. Amadeo, 57 – Milano
📞 +39 3336434905
📩 info@marcospatti.com
immagini
archivio Marco Spatti

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