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Interviste,  Architettura,  Design

Lucchesedesign: una storia dietro ogni progetto…

…perché quello che è all’evidenza di tutti è solo il risultato finale di un percorso che richiede il giusto tempo: Francesco Lucchese rivendica il diritto
(e il dovere) di riappropriarsene.

Non li vediamo ma sappiamo che “loro” sono lì, al suo fianco, e che nonostante il collegamento on line cristallizzi l’immagine di una libreria bianca sullo sfondo, percepiamo nettamente che intorno a lui si stanno svolgendo le normali attività dello Studio.
Francesco Lucchese, classe 1960, architetto pluripremiato nell’ambito del design e docente presso il Politecnico di Milano è il fondatore dello Studio Lucchesedesign che si occupa di architettura, design e consulenza aziendale in ambito internazionale. Ci accoglie virtualmente nella sede operativa milanese circondato dai suoi Collaboratori che più volte chiama in causa nel corso della chiacchierata. Questo non fa altro che confermare l’idea che c’eravamo fatti sfogliando le pagine digitali del sito web di cui riportiamo testualmente gli intendimenti : “…Lucchesedesign è un team multidisciplinare composto da architetti e designers con differenti background culturali…”.
Solo un dettaglio, curioso, prima di addentrarci nell’intervista: la risposta che Lucchese ci dà alla prima domanda viene qui riportata con grande sintesi. Abbiamo sorriso insieme di fronte al tempo impiegato per rispondere: ben 37 minuti, un monologo “accurato” e “accorato” che restituisce lo sguardo acuto, preciso e a tratti “passionale” di Francesco Lucchese sul mondo del design italiano.

Lucchese portrait
15. LB headquarters Fiorano Modenese

Annamaria Cassani
Nel 2018 SYMBOLA, “Fondazione per le qualità italiane”, nelle pagine di presentazione della pubblicazione “Design Economy 2018” parte dalla dichiarazione di Gillo Dorfles “Niente è più scottante del design” e prosegue affermando testualmente “…Il design infatti pervade tutti gli ambiti della nostra vita e, come un sismografo, è in grado di registrare cambiamenti in corso. Attraverso il design è possibile infatti ricostruire i pensieri, i bisogni, i desideri, tutte le oscillazioni del gusto che attraversano la società. Ma il design è soprattutto innovazione. E ne sono consapevoli quegli imprenditori che sul design hanno costruito il tratto caratterizzante del loro brand, basta fare un viaggio lungo la Penisola…”.
Qual è il tuo pensiero in merito a queste argomentazioni, sia da un punto di vista delle definizioni che da una personale lettura del panorama italiano?

Francesco Lucchese
C’è stato un periodo in cui, oltre ad essere giovane io, erano giovani anche le Aziende: ci accomunava lo stesso desiderio di sperimentazione, la volontà di prendersi del tempo per la necessaria ricerca che portasse a realizzare (al fine di produrre) oggetti con caratteristiche innovative rispetto al resto della produzione contemporanea.
Mantenere questo tipo di approccio, che io chiamo “fare del buon design” e che non è nient’altro che ciò che mi hanno insegnato i Maestri, oggi è diventato estremante difficoltoso: le regole del mercato, diventate imperanti, impongono l’immissione di nuovi prodotti a scadenze ravvicinate e non consentono di prendersi il tempo necessario per approfondire con opportune (necessarie) ricerche.
Quindi, che cosa si produce da qualche anno a questa parte? Prodotti simili l’uno con l’altro perché alla sperimentazione si preferiscono strade “tranquillizzanti” che mettano tutti d’accordo: il produttore, il commerciale, il rivenditore e per ultimo, ma non meno importante, l’utente finale che acquisterà un prodotto ad un costo più contenuto.
Ma il designer non fa giochi di magia e nonostante le buone idee, sempre presenti nel panorama creativo, risulta difficile pensare in poco tempo a prodotti semplici da realizzare, che utilizzino materiali ecosostenibili, che incontrino i gusti del mercato e, per di più, che costino poco.
Sono sicuro di non sbagliare affermando che il panorama del design è troppo affollato: ci sono troppi oggetti simili tra loro in cui la ricerca della differenziazione è stata spostata sul piano dell’aumento di complessità dell’oggetto stesso e della sua comprensione.
Mi spiego. La lampada Eclisse di Vico Magistretti, prodotta negli anni ’60, si basa su un’idea molto semplice e comprensibile: un banale gesto della mano che faceva ruotare lo schermo metallico per graduare la luce emessa dalla lampadina ad incandescenza: la sua vendibilità, il suo successo, stava tutto lì, in questo semplice movimento!
Cosa sta succedendo oggi? Succede che, paradossalmente, progettiamo e produciamo molti più oggetti rispetto a quell’epoca ma tra questi, quelli veramente di buona qualità destinati a durare nel tempo, sono in numero notevolmente inferiore.
Riflettendo su tutti questi aspetti, in conclusione auspico che nel mondo del design si possa ritornare a fare dei passi graduali, più meditati, tramite un costante dialogo con le Aziende il cui successo va ricercato con attenzione e approfondimento, con la consapevolezza che per ottenere tutto questo non bisogna correre con le scarpe da running, ma camminare con le ciabatte o forse … a piedi scalzi.

A.C.
L’ultima edizione del Premio ADI Compasso d’Oro 2020 ti ha visto, assieme al tuo team, tra i 18 coprotagonisti assegnatari con la cappa da cucina “SPAZIO”, prodotta da Falmec. Il commento della Giuria: “Sorprendente nella sua semplicità. Incrocio armonico fra pulizia formale, accessibilità economica e sobrietà”. Cosa ha significato per lo Studio questa esperienza?

F.L.
Il recente premio ADI Compasso d’Oro ha rappresentato innanzitutto una ricompensa rispetto al percorso progettuale svolto che cercherò di narrare.
L’Azienda produceva, e produce tutt’oggi, cappe tradizionali con estrattore ma aveva anche a disposizione    filtri dalle grandi prestazioni, in grado di sostituire il tubo di uscita dell’aria.
Questo significava, formalmente, avere la possibilità di pensare ad una “scatola” molto compatta sopra la testa, da sospendere con una serie di tiranti che potessero conferire un’immagine di leggerezza.
Ma tutto questo non mi bastava: amando cucinare, ho sempre avuto l’esigenza di avere in cucina più cose possibili a portata di mano e quindi, su questa sorta di “terrazza”, che è il piano superiore della cappa, ho pensato di aggiungere dei vassoi in cui mettere piante che possono essere facilmente annaffiate.
Questo è il mio concetto di orto domestico: coltivare in casa le piante aromatiche -in questo caso proprio sopra la nostra testa- che consentono di evitarne l’acquisto nelle buste di plastica che, una volta aperte, danno avvio ad un rapido deterioramento del prodotto che raramente si riesce ad utilizzare nella sua totalità.
L’Azienda ci ha supportato ovviamente per tutta la parte tecnica: la cappa è calamitata sulla parte frontale per poter appoggiare velocemente oggetti, modalità che sta prendendo piede nell’ambiente cucina, soprattutto nella fascia verticale compresa tra basi e pensili.
Sono consapevole che tutti gli accorgimenti descritti finora rappresentino qualcosa di già esistente, ma con questa cappa siamo riusciti a metterli uno dopo l’altro con una buona grammatica di segno, con un po’ più di ordine e gentilezza e meno arroganza.

Spazio Falmec 1

A.C.
La propensione per il lavoro in team è qualcosa che ti è appartenuta sin dai tuoi esordi nel settore oppure è stata una scelta maturata (od obbligata) nel tempo a seguito di richieste di aumentate competenze specialistiche da parte del mercato?

F.L.
Circa la propensione naturale o meno per il lavoro di squadra bisognerebbe chiedere l’opinione dei miei Collaboratori che ho qui a fianco. Sicuramente l’esperienza a contatto con gli studenti del Politecnico mi porta ad un continuo confronto che è il medesimo mood che ho instaurato qui in studio: quello di andare oltrela riunione del lunedì mattina” ed esercitare invece una condivisione continuativa.
Perché non si tratta solo di far funzionare bene la planimetria di un appartamento: si tratta di entrare nel merito di tanti ambiti che non possono essere trascurati: quali il colore, i materiali e soprattutto quelli nuovi che sono da conoscere e da sperimentare nelle loro caratteristiche prestazionali, ecc.
Spingo tutti i miei Collaboratori a sviluppare un certo tipo di sensibilità, quella che occorre, ad esempio,  per entrare in empatia con un Cliente che ha l’esigenza di mettere delle opere d’arte nella propria casa e che dovrebbe spingere ad un approfondimento della conoscenza della storia dell’arte stessa; o, ancora, quella sensibilità  che occorre per far comprendere ad un’Azienda che, magari, quello di cui ha bisogno non è un nuovo prodotto ma una buona comunicazione per distribuire con successo quelli che ha già a catalogo. In sintesi, cerco di trasmettere i concetti di “esserci”, “fare” ed “interagire”. Penso che questo possa far diventare lo Studio, qualche volta, anche un posto piacevole in cui lavorare!

A.C.
Lucchesedesign ha una sede a Milano, una a Nanchino ed una terza a Dubai. Ci parli dell’esperienza asiatica?

F.L.
L’esperienza asiatica nasce innanzitutto con la collaborazione con l’Azienda TOTO INDONESIA e prosegue con rapporti di collaborazione con due figure di donne architetto, caratterizzate da personalità e carriere diversissime tra loro ma accomunate da menti brillanti.
Qin Huang, partner cinese, ha abbracciato la carriera universitaria a Nanchino dopo esseri laureata al Politecnico di Milano: insieme esploriamo le possibilità di lavoro sul mercato asiatico che poi lei organizza e promuove.
Il rapporto con Amitis Etemadi, partner iraniana a Dubai, è nato invece in seguito ad un lavoro importante eseguito in collaborazione: con lei abbiamo esplorato anche il mondo dei concorsi di architettura.
Non nego che ancora oggi una donna iraniana architetto a Dubai non ha vita facile e la recente pandemia ha contribuito ad un ulteriore rallentamento delle occasioni di lavoro. Sono speranzoso circa una ripresa dei lavori anche in quella nazione.

5 DeArchitecturaAtmosfere

A.C.
In una video intervista, nel momento in cui stai descrivendo la collezione di lampade STARDUST disegnata per Vistosi ad un certo punto dichiari: “La ricerca continua che si fa con tutte le aziende è quella di accompagnare il progetto con una attualità”. E ancora, ad esempio, per la sedia BRERA disegnata per MisuraEmme si legge: “Lode alla contemporaneità che strizza l’occhio alla classicità”.
È questo il vostro approccio alla progettazione nei vari ambiti di cui vi occupate? Si può parlare, in questo senso, di un metodo?

F.L.
Sicuramente si può parlare di un metodo anche se non risulta applicabile in tutti gli ambiti. Nel caso della collezione di lampade in vetro di Murano Stardust per Vistosi, che ha una classica lavorazione a “rigadin” (strisce in rilievo), l’approccio è stato relativamente più semplice perché il vetro è un materiale con cui ho lavorato molto. Dove si trova la contemporaneità della collezione?
L’aver portato ai limiti la forma ad “S” dei classici chandeliers; le pieghe quasi ortogonali ai bracci -che hanno sempre peso e spessore diversi- ci hanno consentito di eliminare la lavorazione di quella parte centrale di unione e stabilizzazione dei bracci stessi realizzata ad hoc ogni volta per ciascun pezzo, tramite una colata in gesso. In sintesi: abbiamo attualizzato il classico chandelier con elementi in vetro dalla lavorazione tradizionale ma calzati su una scatola di metallo molto minimal studiata da un punto di vista tecnico-meccanico per adattarsi a tutti i pezzi.

A.C.
Per la collezione di vasi e lampade TIARA disegnate per Venini si legge: “…connubio tra un’antica tradizione e una moderna linearità genera effetti ottici geometrici capaci di rendere un’atmosfera brillante e sempre mutevole”.
Quale lavoro di ricerca, sperimentazione, conoscenza da parte del designer è sotteso alla progettazione di questi oggetti, paragonati a dei gioielli? Questo lavoro è sempre correttamente percepito da parte delle aziende e del pubblico? Mi riferisco anche ai costi con cui questi prodotti vengono immessi sul mercato.

F.L.
La lavorazione del vetro di Murano è molto costosa: un mastro vetrario con la sua “piazza” (la struttura minima per la lavorazione del vetro in una fornace) ha un costo di circa ottocento euro l’ora e da qui si capisce subito che rappresenta una voce significativa di spesa per quelle aziende cha hanno deciso di mantenere questo tipo di produzione.
Abbiamo iniziato a collaborare con Venini nel 1992 e ad un certo punto abbiamo percepito che all’Azienda mancasse un oggetto di dimensioni importanti da realizzare con la lavorazione del “balloton”, che ha un effetto a rilievo incrociato. Abbiamo proposto un vaso a forma di clessidra, con una “gonna” lunga e svasata che, nella sua semplicità, risponde perfettamente all’esigenza funzionale di poter accogliere anche i fiori a gambo lungo senza alcun problema di stabilità.
Da questa idea semplice, se vogliamo banale, ma estremamente funzionale e di ottimo riscontro sul mercato, siamo passati alla proposta di una lampada per la medesima collezione: un oggetto luminoso, più che una lampada in senso stretto, che proietta sul piano il decoro del vetro, raccontandone ed esprimendone la lavorazione.

13 Stardust Vistosi

La collezione DIALOGHI progettata per MOSAICO+ risulta particolarmente interessante non solo per le fattezze dei decori che la rendono adatta a qualsiasi tipo di ambiente, ma anche perché è ottenuta attraverso l’accostamento di materiali diversi (legno, pietra, metallo, vetro e marmo) che, “dialogando” tra loro “formano originali texture ricche di imprevedibili affinità e dinamiche contrapposizioni”.
Come è nata questa collezione così centrata sull’esperienza della materia?

F.L.
Parto dalla fine: la collezione attualmente è conservata presso i locali dell’Azienda -che adesso lavora solo con il gres- all’interno di teche come memoria storica di un progetto per il quale è stata creata l’Azienda stessa: una nascita cui abbiamo fortemente contribuito su richiesta dei soci proprietari. Ad un esordio straordinario che ha fatto entrare MOSAICO+ in tutti i punti vendita italiani ha fatto seguito un periodo di difficoltà nella distribuzione di un prodotto che probabilmente richiedeva una strategia di marketing più mirata perché, per sua natura – preziosità dei materiali e la necessaria accuratezza con cui dovevano essere legati tra loro- aveva un costo superiore al quadruplo di un normale mosaico vitreo.
Avevamo progettato un prodotto diverso da tutti quelli presenti sul mercato sino ad allora, una sorta di opus incertum dato dall’accostamento di cinque materiali dalle caratteristiche diverse: per la prima volta vetro, legno, metallo, pietra e marmo riuscivano a dialogare tra di loro, in stretto contatto. È stata un’esperienza straordinaria!

A.C.
Il logo di Lucchesedesign mi richiama un’immagine di tipo aziendale. Mi sono fatta un’idea sul significato formale primo cui allude e poi, a cascata, tutti gli altri ad esso collegato. Ma prima che io mi sbilanci, ce lo vuoi raccontare tu?

F.L.
Il logo è nato tanti anni fa, quando cominciavano a circolare le prime chiavette USB: ho immaginato una chiavetta che potesse aprire, in senso figurato, le porte del Design. Mi dici che tu, invece, vi hai letto una sorta di maniglia dalle linee semplici con la funzione di aprire una porta sul mondo della creatività: non sei andata molto lontano!

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A.C.
I vostri progetti per l’ambiente bagno, dai sanitari alle rubinetterie e agli elementi radianti, sono caratterizzati dall’utilizzo di linee morbide e sinuose che costituiscono una sorta di file rouge. Cito tre prodotti per tutti: lo scaldasalviette ZERO-OTTO per ANTRAX e le collezioni MUSE per TOTO INDONESIA e YOU AND ME per HATRIA.
Al contrario la collezione CRYSTAL per OLYMPIA – e già il nome evoca le forme in cui si presenta- sorprende per un certo grado di durezza del disegno che solitamente non si incontra in un ambiente bagno, luogo deputato per eccellenza alla prima accoglienza dopo il riposo notturno e, in ogni caso, luogo di personale intimità.
Come nasce questo progetto?

F.L.
Capisco perfettamente la sorpresa nel vedere questa collezione, ma a tale proposito c’è una premessa da fare .
Abbiamo collaborato con OLYMPIA CERAMICA in un momento in cui l’Azienda sentiva la necessità di una sorta di rilancio: la nostra proposta di un piano lavabo decorato -con disegni di Paul Smith, Emilio Pucci e Cavalli- attraverso la tecnica del terzo fuoco, o terza cottura, su cui si potevano appoggiare le bacinelle monocromatiche dell’Azienda, ha avuto, pur nella sua semplicità, un grande successo sul mercato.
Il catalogo si è andato a perfezionare e poiché erano già presenti collezioni dalle linee morbide ci è stato chiesto qualcosa di diverso. E’ nata la collezione CRYSTAL, caratterizzata da forme spigolose, sicuramente, ma anche da alcuni dettagli non percepibili immediatamente dal catalogo: per esempio la smaltatura argento cromato su una porzione piana di lavabo, che fa da piano di appoggio e che conferisce ulteriore preziosità e raffinatezza, concetti che sono stati alla base della progettazione. La forma stessa dei sanitari è stata concepita in modo tale che, seppur accostati a distanza ravvicinata, ne risulti comunque una seduta ergonomica.

A.C.
Cosa vorresti progettare in questo momento che ancora non hai fatto?

F.L.
Io ho l’assoluta necessità di progettare una cucina di serie: un progetto a “due mani”, da realizzare percorrendo un iter in totale collaborazione con un’Azienda e non solo attraverso consigli o suggerimenti che poi possono essere recepiti solo parzialmente dai vari Uffici tecnici.
Vedo nel panorama attuale del settore molte cose valide ed altre che sono apparentemente solo funzionali alla messa in mostra dei “muscoli” del produttore.
Una cucina “bella” non deve necessariamente essere anche di grandi dimensioni: c’è ancora margine per lo studio di dettagli e per la creazione di situazioni interessanti.
La cucina di fatto, sin dalle sue origini, non ha mutato la sua composizione funzionale che possiamo sintetizzare in questo modo: una zona di macchine (caldo e freddo), una zona di appoggio (tavolo) e una zona di contenimento (madia).
Io credo che questi tre ambiti debbano sempre avere la possibilità di un incontro, sia da un punto di vista dimensionale che tecnico. Per quale obbiettivo? Dare delle buone “macchine” a spazi “normali”.

A.C.
C’è un oggetto di design contemporaneo progettato da altri che avresti voluto progettare tu?

F.L.
Mi è piaciuto moltissimo, anche per la filosofia che vi è alla base, il prodotto W+W che Gabriele e Oscar Buratti hanno disegnato per Roca: un lavabo e un vaso WC integrati in cui le acque reflue del primo, opportunamente filtrate, vengono riutilizzate come acque di scarico per il gabinetto.
Sono fermamente convinto che non sia più accettabile utilizzare l’acqua potabile per lo scarico del WC e il prodotto proposto dai Buratti risulta molto coerente ed in linea con il filone sul quale penso si debba indagare in questo momento per la zona bagno.

A.C.
Quali sono le tue letture attuali?

F.L.
Leggo romanzi gialli, per lo più di autori italiani come Simoni, Carlotto, De Giovanni: mi piace la sensazione di suspence che riescono a trasmettere, tenendoti incollato al libro dall’inizio alla fine della lettura.
Su tutt’altro genere voglio, invece, consigliare la lettura delle opere dello scrittore svizzero Alain de Botton; il suo saggio “Architettura e felicità”  è un racconto molto divertente e il suo stile di scrittura è per me piacevolissimo.


s f o g l i a l a g a l l e r i a


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