Luca Papini: il design come scelta.
a cura di Annamaria Cassani
Poliedrico e multitasking, il designer bresciano ci racconta la sua “ricerca di poesia”.
Una “solida (e serena) consapevolezza”: è il filo conduttore che ho percepito percorrere le risposte di Luca Papini durante la nostra conversazione.
Ora, si può ben immaginare che respirare quotidianamente la splendida atmosfera lacustre del Verbano, dove il designer vive e lavora, può probabilmente spiegare la lucida tranquillità con cui parla dei suoi progetti e dello sguardo che dedica al mondo del design.
Voglio invece azzardare che la robusta consapevolezza che traspare dai suoi racconti, con riferimento alle sfaccettature della professione intrapresa, sia frutto anche di scelte impegnative ed in controtendenza, operate al fine di assecondare natura, aspirazioni personali ed affetti.
Classe 1975, Luca Papini collabora come product designer per aziende appartenenti al settore dell’industrial design e del furniture quali : Alcas, Casamania, Ciatti, Gessi, Hyundai Motor Company, IB Rubinetti, Ideal Standard, Infiniti Design, Innova, Inkiostro Bianco, Kia Motors, Miniforms, Piquadro, Quadro Design, Relax Design, SDR Ceramiche, Sturm Milano, Telecom Italia, Tonelli Design.
Si occupa anche di brand identity ed insegna product design presso la sede milanese dell’Istituto Europeo di Design.
Dal 2006, anno d’inizio della sua autonoma attività professionale, ad oggi ha ricevuto undici tra premi e riconoscimenti nazionali ed internazionali.
Annamaria Cassani
Andrea Branzi una ventina d’anni fa nella prefazione alla monografia sul designer Mario Mazzer “Thinking about things” afferma che “Bisogna imparare a guardare al design e ai designer, come a parti organiche di sistemi produttivi, e come segmenti espressivi di territori imprenditoriali”. Ti riconosci in questa visione?
Luca Papini
Indubbiamente. I distretti industriali rappresentano un modello organizzativo tipico del sistema manifatturiero italiano: piccole e medie imprese interdipendenti tendono a concentrarsi in circoscritte aree geografiche sviluppando sinergie e relazioni economico/sociali sul territorio. Il designer è certamente una componente di questo sistema e il suo contributo può esprimersi indifferentemente sia a monte che a valle del processo produttivo a seconda che sia egli stesso a proporre le proprie idee alle aziende o, al contrario, siano queste a cercarlo per lo sviluppo di progetti in nuce.
Mi sento di dire, però, che a differenza di qualche decennio fa l’attività del designer ha assunto un carattere meno specialistico, meno legato ai comparti produttivi dei territori in cui ha vissuto o si è formato: io ne sono un esempio.
A.C.
A proposito di aree geografiche, leggendo la tua biografia mi si è affacciata alla mente una parola molto usata dagli intellettuali che indagano i temi dell’abitare contemporaneo: nomadismo. Approfondiamo?
L.P.
Mamma bresciana e papà toscano, ho trascorso la mia infanzia a Brescia prima del trasferimento in Toscana dove, a Firenze, ho frequentato la facoltà di Architettura. Ho completato gli studi presso l‘Istituto Europeo del Design di Milano perché la formazione universitaria di quel periodo (seconda metà degli anni 90) non aveva soddisfatto i miei interessi che erano già orientati verso il product design.
Dal 2010, per motivi familiari, vivo in una località del lago Maggiore: inizialmente facevo quotidianamente la spola tra Arona e Milano poi, dal 2015, ho trasferito in questo suggestivo -e tranquillo- contesto paesaggistico anche il mio studio.
La posizione geografica, non lontana dai terminali aeroportuali di Malpensa, risulta, inoltre, strategica per raggiungere Milano e Torino in poco meno di un’ora d’auto.
A.C.
“Il design è una scelta. Il design è la forma fatta per chi cerca la poesia in un oggetto. E questa è la filosofia con cui progetto il mio lavoro”: è il testo che hai riportato nella home del tuo sito web. Lo commentiamo?
L.P.
Innanzitutto occuparmi di design, per me che non sono figlio d’arte, ha rappresentato una scelta precisa e consapevole; esercito la professione alla stregua di una vera e propria missione.
Questo lavoro non è affatto semplice, la concorrenza è sempre molto accesa e, pertanto, la massima attenzione deve essere posta a come ci si presenta ai propri interlocutori: occorre sempre investire una notevole dose di energia per dimostrare di possedere le qualità professionali appetibili per le aziende cui ci si propone
Al di fuori del mio vissuto, è all’evidenza di tutti che lo stesso concetto di design si basi su una sequenza precisa di scelte che coinvolgono i materiali, i colori, lo stile, il target…
Il mio obiettivo è quello di far emergere dall’oggetto di design un aspetto “poetico” che non lasci indifferente il fruitore.
Sai cosa mi piacerebbe? Avere dati che misurino il grado di soddisfazione di chi s’interessa ai miei progetti ma, di fatto, non è ancora possibile andare oltre ad una semplice quantificazione dei pezzi venduti, di per sé un parametro importante ma che non offre indicazioni sul rapporto qualitativo che l’oggetto instaura con l’utilizzatore finale.
A.C.
Una gran parte del tuo lavoro riguarda collezioni per l’ambiente bagno, rubinetterie e sanitari. Nel 2006 e nel 2010 vinci il Chicago Good Design Award rispettivamente per una colonna e per un soffione doccia (Under per IB rubinetterie e Darwin per Nuova Osmo S.r.l.). Com’ è nata l’attitudine verso questo settore?
L.P.
Mi sono accorto, anche confrontandomi con colleghi, che il lavoro del designer si polarizza su settori che dipendono spesso dal personale esordio professionale: io sono “nato” con la colonna doccia Under che hai citato, un prodotto molto apprezzato dalle aziende di settore che da quel momento hanno iniziato a contattarmi.
Sono affascinato dall’elemento acqua e tuttavia non vorrei essere identificato come un designer specializzato esclusivamente in prodotti per l’ambiente bagno e, per questo, faccio delle incursioni anche nel mondo del furniture.
A.C.
Per Tonelli Design, azienda marchigiana specializzata nella produzione di arredi e complementi in vetro, hai disegnato la collezione Liber: l’ho potuta ammirare nella versione libreria nelle ultime due edizioni del Salone del Mobile di Milano, prima come mobile passante e poi d’appoggio con un suggestivo effetto scenografico dovuto alla retroilluminazione allestita per l’occasione. Il principio geometrico compositivo è di una straordinaria semplicità (un gioco di scatole collegate a una scatola più grande) e si presta ad una spiccata versatilità, senza compromessi o artifici. Ci racconti la genesi di questo progetto?
L.P.
In realtà qualche compromesso c’è stato perché nella mia prima proposta di Liber (un nome dalla doppia valenza in latino: libero e libro) il principio compositivo era ancora più semplice: sul modulo principale (dalle dimensioni di 80×180 cm di altezza) si collegavano, attraverso raffinate tecniche di incollaggio del vetro che non lasciano intravedere alcun elemento di giunzione, contenitori più piccoli composti da sole tre facce.
Per motivi di stabilità della composizione ho dovuto accettare, come talvolta succede quando ci si scontra con i limiti imposti dalla statica, l’introduzione di un ripiano di collegamento tra la struttura principale e i contenitori che, aumentando la superficie d’appoggio, è naturalmente risultato favorevole per un migliore utilizzo della libreria.
Nel complesso l’effetto è molto suggestivo: in particolari condizioni ambientali i libri sembrano galleggiare nel vuoto.
A.C.
Luca, perché la collezione Revolution®, che hai disegnato per SDR ceramiche, ha rappresentato qualche anno fa una trasformazione radicale nel mondo del bagno ?
L.P.
La novità della collezione, è stata, a mio avviso, veramente di portata rivoluzionaria per un settore in cui, fino a pochi anni fa, non esistevano alternative al di là della tradizionale ceramica. Il Solid Surface [prodotto costituito da una miscela di composti d’alluminio, resine e pigmenti acrilici. n.d.r. ] già da parecchio tempo si era affacciato all’ambiente bagno (il Corian risale alla fine degli anni ’60) ma solo per i lavabi, per i piatti doccia e le vasche, con l’esclusione di wc e bidet.
Con Revolution SDR Ceramiche ho potuto realizzare una collezione completa grazie all’esclusiva lavorazione (coperta da brevetto) che le ha consentito di realizzare un wc dall’anima in ceramica ma con una scocca in LIVIN-STONE (Solid Surface) che si presenta vellutato al tatto ed ha caratteristiche di riparabilità.
Un notevole plus è rappresentato dalla possibilità di immaginare forme svincolate dai limiti, quali ad esempio i raggi di curvatura, imposti dall’utilizzo del materiale ceramico.
Posso senz’altro dire che con questa collezione siamo stati fortemente anticipatori di una tendenza ancora in fase pionieristica all’interno di un mercato in cui la ceramica è dominante.
A.C.
La collezione di miscelatori MODO che hai disegnato per QUADRODESIGN presenta delle scanalature a lunetta cui si attribuiscono finalità di tipo ergonomico, per un’attenta regolazione del flusso dell’acqua. Sono in errore se, invece, vedo alla base una precisa intenzione di tipo decorativo (immagino non così semplice da introdurre per questo tipo di prodotti) con un fortissimo richiamo alle scanalature presenti sui fusti delle colonne dell’antichità classica?
L.P.
Per Quadrodesign ho disegnato tre collezioni di rubinetterie –HB, STEREO e MODO– frutto di una felice collaborazione con Enrico Magistro, titolare ed art director dell’azienda.
Con HB ho voluto suggerire le sfaccettature che si formano sul corpo esterno della matita quando si tempera per la prima volta. Con la collezione STEREO, invece, mi sono ispirato alla personale passione per gli impianti HI-FI di cui ho voluto riprodurre le manopole.
Con MODO mi sono riproposto di far emergere la maestria dell’azienda nel realizzare lavori molto tecnici: c’è chi in quelle lavorazioni a lunetta ha visto il disegno dei tappi per le taniche di benzina, o ancora quello delle manopole del gas e certamente c’è anche un richiamo alle scanalature presenti sul fusto delle colonne greche.
È un dettaglio che aggiunge ergonomia al miscelatore, migliorandone la presa, e nello stesso tempo dona all’oggetto quel tocco poetico che, come ho già espresso, è quello che io ricerco.
A.C.
Ci parli del tuo lavoro per l’azienda trentina INNOVA che studia e produce soluzioni per il riscaldamento, la ventilazione e la climatizzazione? Possiamo dire, prendendo spunto da quanto espresso sul sito aziendale, che la finalità sia quella di proporre elementi impiantistici che “non devi più nascondere”?
L.P.
La mia collaborazione con l’azienda INNOVA è iniziata nel 2012. Ho conosciuto una proprietà “illuminata”, con un know-how aziendale all’avanguardia, il cui obiettivo, da sempre, era quello di realizzare ottimi prodotti da un punto di vista funzionale ma anche apprezzabili sotto l’aspetto estetico, un valore tradizionalmente poco considerato per questa tipologia di impianti.
Con loro ho lavorato sul sistema “2.0”, una collezione di climatizzatori senza unità esterne e per questo particolarmente adatta agli interventi nei centri storici. Il lavoro di ricerca su questo prodotto ha consentito di ottenere degli elementi dalle forme compatte e dalle dimensioni contenute, qualità che riducono l’impatto visivo.
Con INNOVA ho lavorato anche su STONE, una pompa di calore caratterizzata da una accurata ricerca estetica, che si discosta molto dal solito parallelepipedo con la ventola in vista che siamo abituati a vedere in esterno.
Il prodotto più recente dell’azienda è il sistema WATERLOOP, attraverso il quale si possono sostituire i vecchi termosifoni con fan coil che si collegano alle tubazioni originarie dell’impianto.
Penso che il settore della climatizzazione offra ancora oggi territori da esplorare per il product designer.
A.C.
Che ruolo ricopri per Terzofoco che produce, riporto testualmente dal profilo Instagram, “lavelli da bagno e da cucina di lusso realizzati in Italia a mano e con passione”?
L.P.
Io curo la direzione artistica per Terzofoco. È un’azienda umbra fortemente orientata all’artigianalità che ha sede a Deruta, un piccolo comune distante una ventina di chilometri da Perugia e famoso per la produzione di ceramiche artistiche.
Il know-how aziendale è rappresentato dalla tradizionale abilità dei ceramisti locali, o come dicono in gergo da quelle parti, i “tornianti” cioè coloro che lavorano sul tornio.
Il nome dell’azienda, espresso nella parlata perugina, è molto significativo: nel mondo della ceramica il terzo fuoco è la terza cottura cui viene sottoposto un oggetto per fissarne le decorazioni superficiali.
La collaborazione con questa azienda è recente: ho iniziato circa un anno e mezzo fa occupandomi di brand identity per la proprietà, dallo studio del logo a quello del catalogo, passando attraverso la rivisitazione di sei collezioni che già facevano parte della originaria produzione e per le quali abbiamo attualizzato colori e finiture.
Un esempio del lavoro che è stato fatto sui prodotti è quello che ha riguardato la collezione Candy, per la quale abbiamo lavorato sulla differenziazione di colore tra superficie esterna ed interna, una caratteristica difficile da trovare nel mondo delle ceramiche dedicate all’ambiente bagno. In questo caso la finitura della parte esterna risulta materica al tatto.
Per la collezione Manatares abbiamo disegnato anche le decalcomanie, cioè quelle grafiche che vengono applicate a freddo sulla superficie dei lavabi e che, dopo la cottura, diventano tutt’uno con la ceramica.
Nell’aprile scorso l’azienda era presente al Fuorisalone con un allestimento presso lo spazio “10 Corso Como”, il concept store della gallerista Carla Sozzani. Sempre nel corso della Design Week milanese è stata partner di Inkiostro Bianco per un evento presso lo spazio Brentano Hub.
Quasi tutti i pezzi delle collezioni sono realizzati a mano ma ultimamente, dato che i “numeri” sono in crescita, qualcuno viene prodotto tramite stampo attraverso un processo la cui cura è affidata comunque alla maestria dell’artigiano.
A.C.
Le tue collezioni di carte da parati per Inkiostro Bianco da quali presupposti partono? Alcuni designer attribuiscono alla grafica un valore “terapeutico” perché meno soggetta a vincoli. È così anche per te oppure c’è un altro racconto alle spalle?
L.P.
Mi sono sempre occupato di grafica e la collaborazione con Inkiostro Bianco è la conseguenza di questa mia passione: penso di essere stato il primo ad aver introdotto la carta da parati negli allestimenti per gli ambienti bagno.
Tuttavia le mie collezioni non hanno rappresentato un libero “sfogo” creativo perché, dopo che il “concept” si affaccia alla mente non ci si può sottrarre al lavoro di ricerca, di indagine iconografica, ecc.
È un passaggio inevitabile per restituire coerenza e forza al progetto.
Per Inkiostro Bianco ho proposto una grafica basata sullo studio dei mosaici e delle decorazioni realizzate dai Cosmati, una famiglia di marmorari romani attiva tra il XII° ed il XIII° secolo.
A.C.
Dal 2012 insegni Product design all’Istituto Europeo di Design di Milano: che cosa ti preme trasmettere ai tuoi studenti?
L.P.
Ho ripreso l’insegnamento presso lo IED nel 2023 con un workshop in collaborazione con RETROSUPERFUTURE (brand molto noto nel settore della produzione di occhiali da sole), dopo qualche anno di sospensione dell’attività. Una “pausa” dovuta all’accavallarsi di impegni professionali che non mi consentivano di preparami puntualmente per condurre le lezioni in sede.
Ai miei studenti consiglio di coltivare quelle qualità ed attitudini che ritengo essere fondamentali per esercitare la professione di designer: curiosità, passione e meticolosità.
È un lavoro che può dare molte soddisfazioni ma che non si può svolgere con facilità se non si è anche in grado di promuovere se stessi: in sintesi, un designer oggi deve essere poliedrico e multitasking.
s f o g l i a l a g a l l e r i a
ospite
LUCA PAPINI
Design Studio
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immagini gentilmente concesse da
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