Se il passato diventa trendy
Una riflessione sull’heritage marketing: la riscoperta di oggetti, di una nuova familiarità di gesti e abitudini fa rivivere un mondo attualizzando il design di un tempo con inaspettate emozioni.
Non è un caso. Non è mai un caso quando c’è di mezzo il marketing. Quindi il gesto di far via la polvere da prodotti, marchi, lettering, da qualche parte certamente arriva: una brezza che s’annuncia leggera, che fa socchiudere gli occhi, sfiora il cuore, ci porta i profumi, tocca i sentimenti.
Il marketing non è un universo parallelo, che ragiona coi suoi canoni, è qui accanto a noi, vuole conoscerci e anticiparci con le sue soluzioni. E quindi la decisione di togliere la polvere non poteva che scaturire indagando i fenomeni di costume, le nostre gratificazioni, l’antropologia del desiderio, elementi che periodicamente punteggiano le giornate delle persone e le loro propensioni d’acquisto.
E’ l’ heritage marketing, l’attività di comunicazione d’impresa che riporta alla luce, negli appuntamenti fieristici, nell’istituzionale, nella pubblicità, in eventi e sponsorizzazioni, il marchio, il layout, la grafica, i caratteri e soprattutto i “sapori” che appartengono al passato dell’azienda e coinvolgono la sua cultura d’antan.
Il che si traduce in una ricerca di radici comuni fra prodotto e (futuro) acquirente.
Perché sì, un aspetto da considerare, e tutt’altro che secondario, è la creazione di un humus condiviso tra azienda e individui: la vendita del prodotto arriverà, non è l’obiettivo primario. Ciò che conta è la fascinazione che produce dentro di noi la storia, quell’alito di memoria che seduce e accomuna le persone e l’impresa.
Si registra una mancanza di riferimenti forti nella società attuale:
l’accumulo di messaggi one to many si riflette in un appiattimento di stimoli ed in una omologazione di prodotti che ha generato insofferenza e distrazione, quando non addirittura disobbedienza e allontanamento.
Il consumatore si difende orientandosi verso prodotti in qualche modo “unici”. Ed ecco che la comunicazione aziendale è chiamata in causa per mostrare le differenze, qualcosa che identifichi gli oggetti per le loro connotazioni non più solo intrinseche o d’innovazione (che si danno ormai un po’ per scontate) ma di suggestione, capaci di “proporre un senso” alle nostre scelte.
L’eredità storica è un atout non compensabile, non sostituibile e oggi improrogabile:
è una radice che alimenta la struttura arborea e ramificata di una cultura aziendale che è storia collettiva.
Non deve sorprendere a questo punto l’identificazione delle persone a quei valori aziendali. Ci si riconosce in quella produzione per il piacere di ritrovarsi in un comune “com’eravamo”, di rivivere un modo, respirare un tempo. Motivo per cui l’ heritage marketing, come una brezza leggera, fa socchiudere gli occhi, sfiora il cuore, ci porta i profumi, tocca i sentimenti. Sollecita i cinque sensi.
La rivisitazione in chiave attuale di prodotti/oggetti da parte di aziende e designers si muove corroborata da questo trend. Non una semplice riproposta, che rischia il confine dell’inattuale, ma una lettura degli usi, costumi, necessità contemporanee capace di ricreare un mondo in quell’oggetto dalle linee attuali e dai richiami all’amarcord.
Unico neo, da questo punto di vista, è la pervicacia con cui alcune aziende cristallizzano la loro comunicazione nel legittimo binomio che oggi però andrebbe un po’ svecchiato: brochures e siti che ne illustrano il catalogo puntando su “una produzione che coniuga tradizione e innovazione” appare un po’ svuotato del significato originario, inteso come fattore differenziante della loro identità e dei prodotti, perché appanna il valore del messaggio e la vocazione autentica dell’azienda. Un guizzo in più di originalità non restituirebbe smalto al linguaggio e al suo significato?
L’ heritage marketing non è nostalgia
ma un’intermittente palpitazione che ha lo stesso effetto di farci tornare in un luogo che non si visitava da tempo: stupisce, crea immediata empatia. Vogliamo rivivere quell’attimo, quei modi, e come possiamo farlo se non tenendo fra le mani proprio quegli oggetti?
Un fenomeno spinto anche dall’accelerazione delle nostre giornate, dall’obsolescenza programmata che ci inducono a trovare un’isola di conforto, un luogo d’attesa rappresentati da quell’immaginario e da quell’oggetto/prodotto che stabiliscono una momentanea sospensione del tempo.
Non deve quindi stupire che ci siano, freschi d’innovazione, filtri per le App che simulano la “sgranatura” della pellicola o ricreano le cornici di vecchie stampe, una sorta di riconferma per un trend che ormai ha preso piede: viene apprezzata questa “patina di vissuto” che intensifica il rapporto con la memoria e smuove il sorriso.
L’ heritage marketing supera la “questione nostalgia”, che spesso contiene frange di rimpianto, perché riesce a emancipare gusto e utilità vestendoli di “nuovo”,
richiama un significato simbolico che la riedizione di prodotti e oggetti fa emergere con tutte le funzionalità che ci aspetteremmo oggi,
il tratto estetico, la volontà di ricercarli (e mostrarli) perché li abbiamo amati e li vorremmo ancora accanto a tenerci compagnia fra le nostre abitudini domestiche.
Non è predilezione per l’antiquariato, non ricalca la passione statica del collezionismo che, per investimento o interesse personale, risolve quell’amore col possedere “un pezzo”.
Acquistando quel prodotto/oggetto le persone partecipano ad un raduno di suggestioni e memorie che diventano parte di un racconto iniziato con gli anni giovanili, per conoscenza diretta o per averlo ascoltato, rinnovano idealmente l’appartenenza ad un tempo, testimoni d’una modalità di vita che condividono ancora tramite le emozioni ricreate dal brand.
Chi non c’era può sognarli quegli anni, e avvicinarsi, chi li ha vissuti vuole rispolverarli.
L’azienda attingerà dal proprio archivio gli schizzi, i disegni a matita sulle veline, il campionario e quant’altro richiami alla mente forme, stile, materiali che, mantenendo l’irrinunciabile validità col pensiero presente, restituiscano il respiro di allora. I designers faranno il resto.
Negli store l’impiego di una comunicazione heritage aumenta l’impatto emotivo del marchio sull’immaginario del pubblico: ecco il ricorso a simboli di vittorie e trofei (automobili, biciclette, moto, ecc.) oppure alla creatività, all’eccellenza produttiva, ai luoghi d’elezione (Olivetti ad Ivrea, le Langhe con la sapienza antica della gente del territorio, ecc.).
Lo scopo è quello di far sentire le persone partecipi dell’universo-brand che conserva e fa rivivere una precisa identità e unicità dovuta ad un passato significativo non replicabile. Ecco perché, tra l’altro, questo vissuto è irrevocabile e può venire unicamente da un radicamento e una sedimentazione che il marchio ha mantenuto sul mercato.
Perciò l’idea che sostiene questa visione è sì quella di organizzare le attività di riedizione e produzione, purché all’interno di una complessiva strategia di comunicazione aziendale.
Solo così il passato diventa trendy.
s f o g l i a l a g a l l e r i a
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Ricccardo E. Grassi
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archivio Zanotta – Alessi