progetto di Davide Varetto architetto, fotografia di adriano pecchio
Design

(Rap)porta(mi) con te

Identità e funzione di un elemento che ci accompagna da secoli: la porta alternativa di Albed.

Fino ad un momento prima che la mostrassero pensavo che una porta fosse semplicemente un “oggetto”, più o meno di design, che definisse gli spazi e, al limite, rivelasse il gusto del proprietario di casa. Fino ad un momento prima, sì. Ma, nell’attimo in cui afferro la maniglia, triangolare, cui riconosco ai bordi stondati un’inaspettata, delicatissima nota sensuale nell’impugnatura, s’insinua un dubbio: comincio a supporre che questa volta potrebbe essere diverso, che questi stipiti aggettanti come spalle di un gigante pretendono un’attenzione e un ragionamento differente.
Per ragioni di mestiere, nei cantieri o nelle case private, m’è capitato di assistere alla posa di varie porte e, negli anni, vederne cambiare gli stili, i colori, i legni, le finiture, le fattezze.

Torturati dall’idea che quest’oggetto dovesse “sparire” o “apparire” il meno possibile, ho visto alternarsi le linee minimaliste, il disegno razionale, le silhouettes con cristallo, l’allestimento “filomuro”, il modello “scrigno” affogato nei muri, l’anta a tutt’altezza che riconosce vigore, slancio e solennità alla parete, enfatizzando un ruolo che non è più relegato alla sola funzione separo-condivido ma diventa protagonista dell’ambiente. E poi cornici, stipiti, spallette assolutamente sottili che, sovente, s’accompagnavano alle tinte dei muri. Colori tenui hanno preso il posto di impiallacciature ed essenze, obbedienti al richiamo “o tempora o mores”, ancora attualissimo. Forse è il caso di dirlo: siamo, una volta di più, quello che abitiamo?

E le cerniere? Non più a vista, quelle andavano bene un tempo. Meglio integrarle nel profilo, ancorarle sui punti estremi del telaio, in alto, ben sopra la linea dello sguardo, oppure a pavimento, nascoste anche agli occhi più attenti.
La porta pare un oracolo delle intenzioni: l’educazione ci fa stare da una parte e ci invita a bussare; l’intemperanza spinge a tener separati due mondi, due pensieri, due insofferenze, magari momentanei. Essa ha il merito, non piccolo, di illuderci che il tempo, per quanto spietato, non riesca ad incidere sulle nostre abitudini e sulla sua funzione, conserva una sua gloriosa permanenza che pian piano la matita di architetti e designer è riuscita a modellare rendendola ogni volta attuale.

Albed e Alfonso Femia affrontano quest’oggetto ancestrale con un’audacia e una sensibilità non comuni:

la porta Entre-deux diventa nelle loro mani un dispositivo narrativo, racconta un modo di abitare, suggerisce la personalità di quella “casa dolce casa” che sta dentro di noi.

La osservavo forse per misurare la distanza tra il mio mondo che lasciavo e il futuro che mi stava prendendo: ecco dov’era il limite di quel mio pensiero, di considerare una porta semplicemente come “oggetto”, di cui inevitabilmente dobbiamo dotarci, anziché un’architettura completa, determinante.

Vista da questa angolazione, anche la relazione tra normalità e diversità si ribalta mostrandoci quanto in realtà questa fuga in avanti di design, funzione, architettura e forma si condensino in un esercizio tutt’altro che di “stile”: Femia reinventa un comunissimo “oggetto di passaggio” liberandolo dal déjà vu, imprimendo col suo tratto di matita una visione ed un temerario discorso sulla prospettiva, una variante osé capace di serbare e stilizzare i segni del nostro tempo.

Una porta così ha innanzitutto la necessità di un luogo e invita ad una sospensione dalle convenzioni:

le sue spalle giganti e la corporatura aggettante hanno il fiato del grande fondista. M’immagino il tempo occorso per liberare l’idea dalla materia grezza che la avvolge, un primo disvelamento e poi i tentativi, le scelte, la disciplina, i sogni. E finalmente l’iniziativa di qualcuno che, vedendola esposta nello show room, acquistandola dica: “la metteremo lì”.
Si legge dal sito che Entre-deux si pone come “sistema di stipiti filomuro … che procede dal concetto di imbotte metallico delle facciate e lo declina in una soluzione per interni”. In fase di costruzione viene poi “ingegnerizzato applicando un approccio modulare e versatile che permette un’estrema configurabilità”. 

La porta è concepita come uno “strumento per dialogare con lo spazio dove l’imbotte può diventare a filo parete o sporgente, può trasformarsi in segnaletica diventando una cornice luminosa o vestirsi di materiali diversi come marmo, metallo o legno”.
La si può intendere, se lo vogliamo, con liberalità e tanta fantasia di linguaggio, proprio come viene definita dal sito: la porta “separa gli spazi mentre la cornice mette in relazione, definisce un “volume”, un entre-deux, nel passaggio degli spazi. Si adatta nella posizione secondo le volontà, le esigenze, stabilendo rapporti diversi tra i due spazi”.

Entre-deux è stata inclusa nell’ADI Design Index 2022 e concorrerà per il Compasso d’Oro Award 2024.


s f o g l i a l a g a l l e r i a

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RICCARDO GRASSI

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ALBED
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architect DAVIDE VARETTO
ph. by
 ADRIANO PECCHIO

images courtesy
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ADRIANO PECCHIO


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